Rivista quadrimestrale interdisciplinare
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GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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Articolo pubblicato sul numero 31 di Giano. Pace ambiente problemi globali, gennaio-aprile 1999

USA, NATO, EURASIA: VERSO LA TERZA GUERRA MONDIALE

di Luigi Cortesi


Eliminare il saliente serbo e saldare un fronte continuo dal Baltico al Golfo Persico: questo fine di guerra degli Usa e della Nato apre scenari inquietanti sul nuovo secolo




La guerra è un fenomeno storico complesso, e ogni singola guerra è un fatto complesso. Quella tra la Nato e la Jugoslavia è però anche un fatto nuovo e cruciale. Se infatti la sua corrispondenza con una strategia di politica internazionale può essere dimostrata alla luce degli avvenimenti d’un intero decennio, essa ha visto attivarsi o evidenziarsi elementi imponderabili che hanno via via preso il sopravvento, portando il suo svolgimento e i suoi possibili effetti al parossismo. Tra quegli elementi, i più impressionanti sono 1), l’uso da parte Usa e Nato dell’arma aerea e missilistica, esteso a tutto il territorio jugoslavo e condotto al di là di ogni prevedibile asprezza e durata per ottenere la vittoria sul campo senza (o prima di) intraprendere operazioni terrestri e 2), le ripercussioni via via più ampie e profonde della guerra sul sistema internazionale, che costituiscono ormai le premesse d’una fase politica ulteriore, di portata storico–globale. Nel corso di questo articolo terremo soprattutto presenti questi due aspetti e le loro conseguenze, e ci porremo il problema della intenzionalità strategica della condotta americana.

La sproporzione tra accanimento delle iniziative di attacco alla Jugoslavia e causa pretesa come originaria, ma divenuta subalterna nel quadro complessivo in rapida evoluzione, è risultata vistosa. Essa è consegnata ai più semplici dati statistici del confronto: 19 paesi contro uno; tra i primi tutte le principali Potenze militari dell’Occidente strette in quella che viene chiamata "la più formidabile alleanza militare di tutti i tempi"; alcune centinaia di milioni di abitanti dei paesi Nato effettivamente impegnati contro poco più di dieci milioni, ivi compresi i kosovari deportati o fuggiaschi e i membri delle altre minoranze etniche, il che riduce il numero dei serbi a circa sei milioni; da 8.000 a 9.000 missioni aeree nel primo mese, in sensibile crescita nel secondo (circa 15.000 al 5 maggio, 20.000 al 12, oltre 23.000 al 19 dello stesso mese) (1), fino ad una crisi da esaurimento degli obbiettivi e quindi a scelte di bombardamento erronee, o destinate alla devastazione del territorio e delle infrastrutture della vita sociale e quindi alla sofferenza e alla tortura dell’intera popolazione, contro, a quanto si è scritto, un solo tentativo dei Mig rintuzzato prima ancora che varcasse i limiti del cielo jugoslavo; armamenti altamente sofisticati e di nuova sperimentazione contro sistemi d’arma vetusti e con scarsi ricambi; tecniche d’attacco modernissime, con basi, luoghi di puntamento e apparecchi di lancio esterni al raggio delle risposte possibili; infine, un sistema di comunicazioni e informazione che è – già limitatamente alla dotazione statunitense – di gran lunga il più potente del mondo e quindi capace di una gigantesca creazione di immagini disinformanti e delle relative ideologie.
Quanto alla potenza economica, non è neppure possibile istituire un confronto tra Occidente e Jugoslavia; basti pensare che i principali paesi della Nato sono in buona sostanza quelli che in tutto il corso storico dell’imperialismo hanno considerato il possesso o il controllo dei Balcani come necessario retroterra del proprio sviluppo. La prima e la seconda guerra mondiale hanno avuto lì i loro provini. Ora Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna sono tutte insieme, e poco importa che compaiano come vassalle della Superpotenza americana. E’ più probante, nel nostro discorso, il ruolo dei paesi dell’alleanza nella politica monetaria mondiale, che ha impoverito e strozzato l’economia jugoslava, e serba in particolare, contribuendo allo smembramento della Federazione (2).

Sul piano militare, mentre si può praticamente parlare di due epicentri delle operazioni, il serbo e il kosovaro, è da rilevarsi l’insistenza dei mass media occidentali su questo secondo, con uno straripante uso di visioni e di commenti atroci, e con particolari raccapriccianti sull’odissea dei profughi, idonei a suscitare la più profonda impressione, solitamente riferiti da testimoni diretti, che dal loro singolo vissuto derivano generalizzazioni incontrollate promosse a realtà giustificativa di quanto si deve fare contro i serbi. Dai media esce quindi continuamente ribadita la necessità d’una "ingerenza umanitaria" che tuttavia – avendo abbandonato a se stessi i kosovari ed essendosi affidata ai bombardamenti anche sui luoghi della persecuzione antialbanese – ha fatto terra bruciata di molti centri dello stesso Kosovo e ha cooperato a formare le miserabili ondate successive di profughi; tanto che la missione protettiva e filantropica della quale si sono incaricati Usa e Nato risulta via via altra cosa (e in effetti non trova riscontro in iniziative sistematiche di assistenza) rispetto al fine generale che diceva di proporsi, e ìmpari a porre rimedio alla catastrofe da essa stessa provocata, o in ogni caso fortemente alimentata in tutto il territorio "nemico". La catastrofe non è ormai più della popolazione del Kosovo, ma di tutto il popolo della Jugoslavia.

In tutto questo è più che legittimo ipotizzare una razionalità di fini generali, parte precedente ai fatti, parte cresciuta e degenerata insieme con questi, con annessi errori di previsione e di calcolo. Come altre volte nella storia dell’imperialismo, e nella stessa storia degli Usa in questo secolo, una politica spinta dall’industria degli armamenti e dalle lobbies più incarognite, e prive di una guida e di una strategia adeguate, conduce ad una pura e semplice guerra di sterminio tecnico. L’elemento sconcertante consiste nel fatto che questa volta il teatro è l’Europa geografica; il che non è parso impressionare più di tanto l’Europa istituzionale e i suoi vari Stati, presi l’una e gli altri da interessi di complicità di forza maggiore, la cui crisi verrà tuttavia registrata dopo la guerra e non mancherà di rivelarsi devastante (3).

In effetti, i due fronti ne costituiscono ormai allo sguardo critico uno solo, e la guerra è tanto simile a quella che gli Ateniesi condussero contro i Meli, dopo aver vanamente cercato di convincerli che nella realtà della storia "i più forti esercitano il loro potere e i più deboli vi si adattano" (4)

[...] continua



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