Rivista quadrimestrale interdisciplinare
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GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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Articolo pubblicato sul numero 32 di Giano. Pace ambiente problemi globali, maggio-agosto 1999

GUERRA "GIUSTA", GUERRA ILLECITA

di Luigi Ferrajoli


Per le sue dimensioni di ‘male assoluto’ la guerra contemporanea è stata bandita dalla Carta dell’Onu e dalla Costituzione italiana




1. Considero assai opportuno e meritorio il dibattito tenuto aperto da "Giano" sul tema della "giustizia" o "legittimità" della guerra. Per due motivi. Innanzitutto perché attorno al problema della guerra e della pace si condensano tutti gli altri problemi teorico–politici: dai problemi della democrazia – nazionale e internazionale – a quelli della tutela dei diritti fondamentali; dal futuro del diritto internazionale a quello del rapporto tra Nord e Sud del mondo. In secondo luogo perché dipendono dal giudizio su questa guerra le prospettive di pace del futuro. Questa guerra avrà infatti comunque il valore di un "precedente": dipenderà dal modo in cui essa sarà giudicata e ricordata il senso del diritto che sulla guerra e sulla pace si formerà nella coscienza degli uomini e, soprattutto, se la guerra risulterà in futuro legittimata come mezzo di soluzione delle controversie internazionali.

Questa guerra ha cambiato radicalmente il nostro orizzonte esistenziale. Lo ha cambiato giacché la guerra – che dal nostro orizzonte era stata rimossa come un male assoluto, interdetto come un tabù dai patti costituzionali e internazionali stipulati all’indomani della seconda guerra mondiale – non solo è accaduta, ma è stata legittimata come giusta e conforme al diritto dai governi dell’Occidente, dalla grande stampa, da voci autorevoli della cultura. È stata questa la sua terribile novità. Altre guerre ci sono state in questi ultimi 46 anni. Ma è la prima volta che intorno alla tesi della legittimità della guerra – in quanto "guerra dell’Onu" o peggio "autorizzata dall’Onu" – si è formato, nei paesi dell’Occidente, un così vasto consenso. Ovviamente, il fatto che questa tesi sia passata a livello ufficiale non vuol dire che sia fondata. Ma il rischio è che essa passi e si consolidi acriticamente nelle coscienze.



2. Il numero 8 di "Giano", dedicato al tema della "guerra giusta", si apre con il dibattito Cortesi–Bobbio. Esso si è polarizzato sulla nozione di "guerra".

Luigi Cortesi ha molte ragioni: l’incommensurabilità tra violenza bellica espressa da Stati nell’era atomica e quella delle lotte di resistenza; il carattere etero–nomo della guerra tra Stati, imposta ai belligeranti in maniera assurdamente autoritaria e quello auto–nomo delle lotte di liberazione. Io ne aggiungerei un’altra, che riguarda non i belligeranti ma le loro vittime: la guerra tra Stati colpisce inevitabilmente gli innocenti ed è dunque ingiusta a priori. È forse questo che oggi ci fa dire che ogni guerra è ingiusta.

Ma io temo che su questo terreno – la questione del significato più o meno esteso di "guerra", da riservarsi o meno insieme alla sua illegittimità alle sole guerre promosse da Stati – il dibattito non possa fare passi avanti. Non ci sono ragioni decisive a favore dell’una o dell’altra tesi. Un libro recente di Claudio Pavone ha riproposto da sinistra la qualificazione di "guerra civile" per la Resistenza. Certo, potremo dire che, al di là delle parole, oggetto di discussione non è la guerra in generale ma la guerra tra Stati. Ma in questo modo ci si espone alla giusta obiezione di Bobbio che ciò che in realtà critichiamo non è la guerra ma lo Stato, nel senso che la nostra opposizione alla guerra nasconde in realtà un’opposizione alle sole guerre che non ci piacciono, e cioè a quelle statali.

Molto più utile mi sembra abbandonare la questione del significato di "guerra" e affrontare invece quella del significato di "giustizia". "Giustizia" – come ricorda Norberto Bobbio – è un termine ancor più vago e difficilmente definibile di "guerra", se non altro per il suo carattere eminentemente valutativo. C’è tuttavia un senso di "giustizia" che non è affatto ambiguo: quello di giustizia in senso formale o legale, che equivale a "legalità" o "conformità al diritto" o "validità" o "legittimità giuridica". In questo senso "giustizia" è un termine niente affatto equivoco. Almeno in un sistema di diritto scritto e positivo – quale è ormai non solo l’ordinamento statale ma anche, dopo l’avvento dell’Onu, l’ordinamento internazionale – la questione se la guerra sia legale o illegale è una questione che si risolve sulla base delle norme vigenti e, al di là dei dubbi interpretativi che sempre accompagnano le questioni giuridiche, è una questione non di valore ma di fatto. Ma per questo significato di "giustizia" esiste una parola apposita e diversa, che è precisamente "legalità" o "diritto": una parola non solo diversa, ma di solito contrapposta, nella moderna teoria del diritto, alla parola "giustizia", la quale designa valori morali o politici o comunque extra–giuridici, irriducibilmente soggettivi, che possono coincidere con quelli del diritto ma che possono anche divergerne.

Purtroppo il dibattito svoltosi sulla guerra del Golfo è stato caratterizzato da una permanente ambiguità nell’uso della parola "giustizia". A questa ambiguità ha purtroppo contribuito in maniera decisiva l’intervento di Norberto Bobbio, il quali fin dall’inizio ha parlato di guerra giusta, aggiungendo magari – ma senza mai entrare nel merito della questione giuridica – di intendere "giustizia" nel senso aristotelico di giustizia "formale" o "legale". L’ambiguità è generata dal fatto che la parola guerra "giusta" evoca questioni non di diritto ma di giustizia. E infatti la tesi di Bobbio sulla giustezza della guerra è stata fin dall’inizio motivata con generici argomenti di giustizia: il fatto che sia stato Saddam a cominciare, l’idea della legittima difesa in capo alla comunità internazionale, il paragone tra Saddam e Hitler e simili. E non serve a nulla dire che invece s’intende parlare di "giustizia" nel senso di legalità se poi non si affronta sul terreno giuridico – Carta dell’Onu alla mano – la questione della legalità o meno della guerra di cui si parla, ossia dell’osservanza o meno da parte degli Usa, e ancor prima del Consiglio di sicurezza, del capitolo VII dello statuto delle Nazioni Unite; se – in altre parole – non si motiva con argomenti giuridici la tesi della legalità (o, se si preferisce, della giustizia in senso formale o legale) della guerra oggetto di valutazione.

Tutto questo non è stato fatto, né da Bobbio né da altri sostenitori della guerra del Golfo. In tutta la discussione dei mesi passati sulla giustificazione di questa guerra si è trattato promiscuamente e si è spesso confuso tra due questioni distinte: quella della sua legittimità o legalità, e quello della sua giustizia. Gli interventisti, o se preferiamo i giustificazionisti – tra i quali si sono inaspettatamente ritrovati molti filosofi della morale e della politica – hanno preferito argomentare il sostegno alla guerra sul terreno etico–politico della giustizia, ignorando quello giuridico della legalità, o peggio confondendo tra le due sfere. Con il risultato che la trattazione indistinta dei due problemi ha avuto l’effetto non solo di confondere i termini dell’uno e dell’altro ma, soprattutto, di accreditare, dietro generiche dissertazioni sulla giustizia della guerra in quanto riparazione di un illecito, la tesi della sua legalità.

Dirò di più: i giustificazionisti si sono sempre sottratti all’onere dell’argomentazione della legittimità giuridica della guerra, preferendo sempre ripiegare su argomenti genericamente morali e politici. La ragione di questa scelta è che un confronto sul piano del diritto positivo li avrebbe forse costretti ad abbandonare la tesi di partenza. La guerra infatti, sulla base della Carta dell’Onu, è certamente illegittima. Ma Bobbio scrive come se l’Onu non esistesse (Ma la sola alternativa è il terzo presente, in "Giano", cit., pp.56–57). Ne parla non come di un terzo presente, ma come di un "terzo assente": anche se la sua "assenza" non è un’assenza di diritto ma un’assenza di fatto, dovuta precisamente al fatto che le sue norme vengono tranquillamente ignorate e violate dalle grandi Potenze.



3.

 

[...] continua



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