Rivista quadrimestrale interdisciplinare
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GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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Articolo pubblicato sul numero 38 di Giano. Pace ambiente problemi globali, maggio-agosto 2001

L’APOCALISSE TELEVISIVA E LA STRATEGIA DELLA SUPERPOTENZA

di Angelo Baracca

L’orrore dell’attentato e il timore di un escalation del terrorismo sono diventati elementi del disegno americano di controllo mondiale delle risorse




L’apocalisse dell’11 settembre, con la distribuzione universale delle sue immagini, ha riempito il mondo di orrore: la facilità e la precisione con cui l’Impero è stato colpito al cuore è sconcertante. Indubbiamente l’impressione che ci fa l’attentato non dipende tanto dal numero delle vittime, comunque elevatissimo (ma vi sono stati in questi anni molti attentati e scontri, in paesi del Terzo mondo, che hanno mietuto numeri di vittime enormemente maggiori, senza sollevare emozioni particolari!), quanto dal fatto che è stato colpito al cuore l’Impero americano.

Ai tempi della guerra fredda i blocchi e le ideologie fornivano un quadro interpretativo globale della situazione, anche se poi si è rivelato in gran parte fittizio. Oggi prevalgono letture settoriali, frammentate dei processi in atto, riferiti di solito alle aree specifiche del pianeta, alle contraddizioni locali, a correnti ideologiche specifiche, per quanto estese, come nel caso dei nazionalismi e dei fondamentalismi. L’orrore da cui siamo colti per questa escalation degli obiettivi del terrorismo e della violenza ci impone di fare uno sforzo di approfondimento e di acquisire un punto di vista più generale e complessivo delle contraddizioni e dei meccanismi in atto nel mondo.

1. Una imprevedibilità annunciata.

In primo luogo, era davvero imprevedibile quello che è accaduto? L’allarme terrorismo suona da lungo tempo, ma sembra avere un tono strumentale. Indubbiamente non molti immaginavano la dimensione della tragedia. Ma circa un mese e mezzo prima di essa un gruppo di esperti aveva lanciato l’allarme al Congresso sulle conseguenze catastrofiche che potrebbe avere un attacco terroristico con germi del vaiolo, una malattia assente dagli Usa dal 1949, che porterebbe il paese sull’orlo della disintegrazione: in pochi giorni si esaurirebbero le scorte di 12 milioni di dosi di vaccino, al dodicesimo giorno i morti sarebbero 1.000, l’Onu trasferirebbe il proprio quartier generale a Ginevra, il morbo si estenderebbe ai paesi vicini, si verificherebbero dimostrazioni di strada, dopo due mesi il numero di morti raggiungerebbe il milione e di infettati 3 milioni, il Presidente dichiarerebbe la legge marziale1.

L’allarme era quindi molto concreto. Mark Helprin ha scritto sul "Wall Street Journal" del 12 settembre 2001: "[…] abbiamo rifiutato i precisi allarmi, lanciati per più di un decennio, da coloro che capivano la natura di ciò che sarebbe arrivato, e di ciò che deve ancora arrivare, che sarà senza dubbio peggiore"; aggiungendo "un richiamo a concentrare l’attenzione sulla prospettiva di un’esplosione nucleare o di un attacco chimico o biologico, entrambi i quali supererebbero quanto è avvenuto ieri di vari ordini di grandezza".

Sorge naturale il dubbio che i terroristi non abbiano affatto scelto l’attentato peggiore, ma piuttosto il più scenografico, ed abbiano in serbo colpi ben più gravi.

Ma per tutto il decennio passato Washington ha insistito sui pericoli di un attacco missilistico dai rogue States e gli sforzi dell’amministrazione sono centrati sulla realizzazione dello scudo anti–missili2, la cui inutilità rispetto ad attacchi terroristici è evidente ed è stata insistentemente sottolineata. L’ex–senatore democratico Sam Nunn aveva scritto l’11 giugno 2001 sul "Washington Post" che il pericolo attuale per gli Usa non viene dai missili della Corea del Nord, ma da quelli russi, che potrebbero essere lanciati accidentalmente, e dalle armi nucleari, chimiche e batteriologiche russe che potrebbero cadere in mano a gruppi terroristici3.

Sappiamo bene che il terrorismo non è un fenomeno che nasce dal nulla, ma è conseguenza degli squilibri e delle ingiustizie mondiali, affonda le sue radici nelle frustrazioni e nei soprusi perpetrati nei confronti di interi popoli e paesi; e che la ritorsione militare che si delinea mentre scriviamo radicalizzerà ulteriormente il conflitto tra occidente e mondo arabo. Tuttavia questa tendenza ubbidisce a nostro avviso ad una precisa strategia, dettata da motivazioni di fondo tutt’altro che marginali, anche se dal nostro punto di vista profondamente sbagliate, e pensiamo che si debba fare un passo oltre in questa analisi, e cercare di collegare questi processi con altri che si stanno sviluppando, in apparenza su altri piani.


2. La minaccia di una crisi planetaria.

Le analisi più recenti indicano che le risorse si stanno avvicinando al culmine di saturazione delle disponibilità e ad una successiva fase di depauperamento4. Nel corso dell’attuale decennio il tasso di estrazione del petrolio e del gas naturale raggiungerà il picco, dopodiché incomincerà a diminuire: le riserve rimangono ingenti, ma la disponibilità di petrolio si esaurirà ben prima che i pozzi si secchino, poiché si raggiungerà un punto in cui per estrarlo ci vorrà più energia di quanta esso non ne fornisca. Un’ulteriore circostanza politicamente significativa è che la produzione da parte dei paesi produttori che non fanno parte dell’Opec ha già raggiunto il picco (nel 1999, quando il prezzo del petrolio più che triplicò, la produzione di questi paesi aumentò solo dell’1%) e tra pochi anni sarà superata dai paesi dell’Opec.

La crisi petrolifera renderà impossibile soddisfare una domanda che continua a crescere (68 milioni di barili al giorno nel 1996, 76 nel 2000, 94 previsti nel 2010), e si accompagnerà nei prossimi decenni ad una diminuzione della disponibilità di tutte le risorse naturali, ed al rapido aggravamento della crisi globale: crisi climatica e riscaldamento globale, con il moltiplicarsi di manifestazioni meteorologiche estreme; crisi agricola; crisi idrica, desertificazione, deforestazione e diminuzione della biodiversità, e quindi delle capacità di recupero e di assestamento degli ecosistemi. L’International Panel on Climate Change (Ipcc), composto dai più autorevoli scienziati di tutti a paesi, mette ormai in guardia senza mezzi termini delle conseguenze ambientali dell’attuale trend di consumi: lascia solo l’incertezza se in questo secolo la temperatura aumenterà di 6 o di 10°C, se il livello dei mari si innalzerà di 2 o di 6 metri, o se la frequenza di eventi meteorologici estremi aumenterà di un fattore 3 o 5, ma afferma con sicurezza che accadrà qualcosa di inaudita gravità.

È difficile, anzi assurdo, pensare che nella potenza egemone questa situazione e queste prospettive non siano ben note e presenti. Può anche darsi che non tutti gli operatori economici, o non tutti i politici siano convinti che non vi siano vie d’uscita. Ma sicuramente la lobby del petrolio lo ha ben chiaro: ed è quella lobby di cui la famiglia Bush ha sempre direttamente fatto parte dai primi del secolo scorso. Se anche possono sussistere margini di incertezza sui tempi e i modi in cui evolverà la situazione, la logica dominante vuole che gli Stati Uniti si organizzino per il peggio: e cioè il controllo diretto delle fonti delle risorse e dei corridoi di comunicazione. Quello che si prospetta è una vera e propria guerra per le risorse, senza quartiere e senza l’esclusione di mezzi, per difendere appunto gli "interessi americani in qualsiasi parte del mondo essi vengano minacciati", per impadronirsi dell’ultima goccia di petrolio e dell’ultimo grammo di materie prime.

Ormai siamo ben al di là del vecchio colonialismo, e della sua riedizione come neo–colonialismo: non è più tempo di usare i guanti, la gravità della situazione e l’aggravarsi delle prospettive giustificano qualsiasi mezzo e qualsiasi brutalità. Credo che il processo di riarmo, i progetti di difesa spaziale, la messa a punto di nuove armi micidiali convenzionali e nucleari5, il coinvolgimento degli alleati nella nuova strategia offensiva della Nato, l’escalation che ha caratterizzato gli anni ’90, gli interventi militari passati in Iraq e nei Balcani, e quelli prossimi venturi (Macedonia? Colombia?), tutto vada letto e interpretato in questa chiave: interpretazione supportata dai numerosi segnali che si susseguono, dal siluramento del Protocollo di Kyoto (non si dimentichi che già l’amministrazione Clinton aveva fatto fallire il vertice dell’Aia), al rifiuto della bozza di accordo per le verifiche sul disarmo batteriologico (e quindi al probabile siluramento della relativa Convenzione, che risale al 1972, v. nota 1), al boicottaggio delle grandi Conferenze Internazionali dell’Onu per disaccordi sui testi che vengono proposti (dalla Conferenza di Durbans contro il razzismo, a quella futura sull’infanzia), al progetto di legge della Camera dei Rappresentanti di Washington che stabilisce preventivamente che il Tribunale Penale Internazionale — che gli Usa rifiutano, mentre controllano e manovrano quello dell’Aia — non potrà arrestare né giudicare nessun cittadino statunitense, che potrebbe quindi venire liberato anche con la forza!

L’Europa e il Giappone pensano di essersi schierati con la parte giusta per poter continuare ad usufruire delle risorse ancora disponibili sul pianeta, ma il gioco presto o tardi si ritorcerà anche contro di loro. Ingenuità, miopia, stupidaggine? Per il momento torna comodo e utile agli Stati Uniti che esse partecipino al controllo e all’accaparramento delle risorse (tanto che l’Europa riesce ancora a farsi bella con una difesa di facciata, più che di sostanza, del Protocollo di Kyoto, ma non se la sente certo di fare la voce grossa): la torta è ancora sufficiente per dividerla con loro e i tempi non sono ancora maturi per scaricarli. Ma quando il gioco si farà più duro non vi è dubbio che gli Stati Uniti lo faranno.


3. Questa strategia planetaria non poteva,

e non potrà, [...] continua



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