Rivista quadrimestrale interdisciplinare
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GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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Articolo pubblicato sul numero 37 di Giano. Pace ambiente problemi globali, gennaio-aprile 2001

STATUALITÀ E STATI NELLA TRASFORMAZIONE DELL’ECONOMIA MONDIALE

di Michele Nobile


Se si considerano le stime di alcuni indicatori del livello di internazionalizzazione dell’attività economica nella Belle Époque, come il peso del commercio internazionale sul Pil oppure il valore dell’investimento estero, mi sembra veramente difficile considerare la globalizzazione come qualcosa di assolutamente inedito e l’annuncio, nel bene o nel male, di un mondo radicalmente nuovo. Piuttosto, dal punto di vista economico, bisognerebbe parlare di ri–globalizzazione dopo il picco toccato prima del 1914, la de–globalizzazione successiva al 1929 e la "perdita", per il capitalismo, della Russia, della Cina e dell’Europa centro–orientale.
Ora sembra che la tecnologia della comunicazione abbia trasformato il pianeta in un villaggio globale. Ma la straordinaria compressione dello spazio e del tempo sociali realizzata dal radiotelegrafo, dal telefono, dall’automobile, dall’aereo, a cavallo tra il XIX e il XX secolo costituì una discontinuità ben più radicale rispetto alla "rivoluzione di Internet".
Non sembra un caso che sia stata concomitante alla più straordinaria rivoluzione scientifica ed espressiva degli ultimi secoli. Poniamoci dal punto di vista dei colonizzati. Perché pensare che il mondo sia oggi più globale che nel 1890 o nel 1914? Non era forse il loro intero mondo sociale e culturale invaso e destabilizzato dall’esterno, ed oggetto di contesa di forze che potremmo dire globali? Non erano forse i colonizzati trascinati nel vortice del mercato globale? E della prima guerra mondiale? Le sanzioni economiche e politiche imposte alla Cina dall’insieme delle potenze "occidentali" e dal Giappone dopo la rivolta dei Boxers non ricordano eventi recenti dell’epoca globale? E gli stessi conflitti inter–imperialisti, o la rivoluzione russa, non evocano l’emergere di una dimensione mondiale della politica e dell’economia? Un qualcosa che comprende e supera la bilancia del potere tra le potenze e le rivalità nazionali? Con ciò non intendo dire che nulla è cambiato sotto il sole, anzi. Bastano gli arsenali nucleari e le profonde ed estese trasformazioni sociali nei territori ex coloniali a marcare una discontinuità "secolare" tra le due metà del XX secolo.
Dare profondità storica alla discussione sulla globalizzazione è essenziale non solo per "raffreddare" certi entusiasmi, o certe tendenze depressive. Si tratta anche di curare una miopia che potrebbe causare disorientamento qualora dovesse verificarsi la reversibilità dei processi di liberalizzazione e deregolamentazione finanziaria, che sono il cuore della tesi della pretesa globalizzazione economica. Del resto la deregolamentazione non è un puro vuoto di regolamentazione. È piuttosto una diversa regolamentazione. Qualcosa da tener presente per comprendere le origini del fenomeno, i vincoli ma anche le responsabilità e capacità, differenziali, di intervento degli Stati.
Dalla considerazione storica si può derivare la tesi che il capitalismo ha da sempre una processualità mondiale ma che questa è il prodotto dell’articolazione di diversi livelli spaziali, delle contraddizioni, delle crisi e dei conflitti che li formano. Se il mondiale non si riduce alla giustapposizione delle entità nazionali non per questo esso assorbe le seconde e si pone come un dato immediato e reificato. All’interno di questa problematica emergeranno i mutevoli vincoli e le mutevoli possibilità degli Stati, la gerarchia del potere tra essi, le differenze indissociabili dalla natura strutturale dello sviluppo mondiale del capitalismo, che è tanto combinato quanto ineguale. Il che significa che esiste tanto una dinamica d’insieme quanto una specificità territoriale dei capitalismi, marcata dalle diversità storiche, dai diversi modi di rispondere a problemi comuni, mondiali, dai diversi effetti nazionali di misure simili. Sottolineo il fatto che l’intensità del processo di globalizzazione può essere valutata diversamente, e in modo opposto si può intendere la direzione del processo di convergenza: verso l’alto o verso il basso, verso la prosperità e la democrazia globali o la miseria e il dominio globali. Quali che possono essere le differenze all’interno del discorso globalista, e sono differenze che contano ai fini politici, ciò che giustifica concettualmente l’uso specifico della parola globalizzazione, variamente graduata ed articolata, e che costituisce la ragione delle forti e contrastanti emozioni che essa suscita, è a mio parere la sintesi tendenziale di interdipendenza e convergenza.

Il nazionale nel mondiale
Aspetto peculiare e decisivo della tesi della globalizzazione è quello della convergenza. Un mondo globale è infatti idealmente e normativamente quello in cui i [...] continua



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