Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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"Giano", n. 42, settembre-dicembre 2002
GIANO 42
IL SETTIMO SIGILLO

Quanto si svolgeva durante la preparazione del fascicolo (chiuso alla fine di gennaio 2003) giustifica il titolo apocalittico “Il Settimo Sigillo”. La guerra domina necessariamente le pagine della rivista, che è dedicata all’analisi e alla prevenzione dei rischi globali e dominata dall’incombere d’una crisi di civiltà.
Se guerra non ci sarà, si dice nell’editoriale, essa sarà sostituita da una serie di Blitze e di bombardamenti distruttivi; gli Usa lasciano trapelare anche il possibile uso di armi atomiche. Tutto fa prevedere che gli Usa vogliano il controllo del Medio Oriente con tanta determinazione da superare le obbiezioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e della grande maggioranza della popolazione del Pianeta. Essi sembrano anche disposti a mettere a repentaglio le loro alleanze europee e da provocare gli incidenti che innescheranno la guerra. Ma la loro condotta apre molti problemi, che risulteranno ancor più radicalizzati dalla scelta militare.

La domanda “perché la guerra?” è all’origine di numerosi articoli. È il petrolio la principale causa della volontà di guerra americana, oppure le sue ragioni vanno – scrive l’economista M. Pivetti –p? “oltre il petrolio”, per investire la dipendenza dell’economia Usa dalla spesa militare e quindi dalla violenza che essi imprimono alle relazioni internazionali? Gli Usa – osserva E. Modugno – sono in guerra dal 1941, e tutto va visto nel quadro degli strascichi del 1929, la grande crisi irrisolta che domina la storia contemporanea.
La tesi della prevalente responsabilità di Washington si articola in una serie di analisi della politica e della strategia militare americane (Minolfi, Imbriani, Piccin, Paolini) e in un severo richiamo alla crisi del diritto internazionale e dell’Onu (Marcelli). La questione palestinese è presente con scritti di G. Lannutti e A. Vurchio, mentre F. Corrao traduce e commenta due componimenti poetici di Sa-adi Yusuf.
Nell’ampio spettro degli articoli segnaliamo l’ampio profilo che V. Sartogo traccia dell’eminente merceologo ed ecologo Giorgio Nebbia.


Editoriale. Luigi Cortesi   Imperialismo americano e crisi di civiltà
Massimo Pivetti   Vanno oltre il petrolio le ragioni della guerra
Fabio Marcelli   Gli Usa contro il diritto internazionale: illiceità della guerra preventiva
Salvatore Minolfi   La Superpotenza “hobbesiana” e la disarticolazione dell’Occidente
Angelo Michele Imbriani   “Minaccia universale” e “guerra permanente” nella National Security Strategy 2002
Enzo Modugno   Nota sul keynesismo in versione neoliberistica
Gregorio Piccin   Il Pentagono contro tutti, verso lo spazio e la supremazia
Michele Paolini   L’“asse del male” come concetto etico-geostrategico
Sa’adi Yusuf    Due componimenti poetici: Fucili e America America
a cura di Francesca Corrao
Giancarlo Lannutti   La guerra parallela di Sharon
Lessico. Antonietta Vurchio   Sionismo
Enrico Maria Massucci   L’Europa del liberismo e della guerra e l’Europa dei movimenti alternativi
Claudio Del Bello   Fuori dall’Europa: il capitalismo italiano va alla guerra
Michelangelo Guida   La Turchia tra integralismo islamico e pragmatismo politico
Luigi Biondi   Esigenze di cambiamento e fragili equilibri in Brasile
  

NOTE CRITICHE 

Vittorio Sartogo   Ecologia e “coscienza” nell’opera di Giorgio Nebbia

LIBRI  

Recensioni   Dominique Lorentz, Affaires nucléaires (Angelo Baracca)
   Gaetano Arfè, Storia dell’“Avanti!”
  Gianni Bosio, I conti con i fatti (Luigi Cortesi)
 Segnalazioni   a cura di Daniele Archibugi, Luigi Cortesi, Guido Cosenza, Sergio Dalmasso, Diego Giachetti, Sergio Licuti, Enrico Maria Massucci, Maria Grazia Meriggi, Michele Nani, Mario Ronchi, Valeria Russo, Silvio Silvestri, Ireneo Vladimiri.
 
English Summaries
 


Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero:
Giacomo Cortesi, Claudio Del Bello, Pier Giovanni Donini, Alexander Höbel, Sergio Licuti, Enzo Modugno, Sarah Nicholson, Vincenzo Pugliano, Silvio Silvestri, Ireneo Vladimiri.



SOMMARI DEL N. 42 DI "GIANO", settembre-dicembre 2002

IL SETTIMO SIGILLO

Luigi Cortesi, Imperialismo americano e crisi di civiltà
Una partita storicamente decisiva si compie nella preparazione dell’attacco all’Iraq da parte di Bush e Blair (due "aspiranti criminali" cui si affianca il "cinico mercante" di provincia S. Berlusconi). Da un lato c’è la logica dell’imperialismo e della sua crisi, che determina l’esigenza della guerra e il controllo delle fonti petrolifere; dall’altro si schierano i movimenti pacifisti e "no-global", che si sviluppano per prevenire (alla loro volta) la "guerra preventiva". Essi minacciano i poteri statuali di espropriazione del loro diritto di guerra, e tendono a fondare una nuova politica, la cui essenza è da porre in relazione con l’incombente "crisi di civiltà" e col rischio di una catastrofe planetaria. L’autore segnala l’insufficienza dell’opposizione franco-tedesca e di quella della Russia e della Cina, in quanto esse si svolge all’interno della medesima logica di sistema. L’unico dato positivo su questo piano è l’obsolescenza e forse la finep? della Nato, e l’incoraggiamento che dovrebbe trarne l’Unione europea.



Massimo Pivetti, Vanno oltre il petrolio le ragioni della guerra
L’a. definisce la guerra contro l’Iraq come "inevitabile" in quanto "fortemente voluta" dall’Amministrazione Bush e non decisamente avversata dalle Potenze europee. Quanto alle ragioni reali dell’intervento Usa e della crisi nel suo complesso, Pivetti non nega l’importanza del petrolio e del suo controllo, ma sposta l’accento sulla crisi economica in atto e sui "fallimenti del mercato" e delle politiche monetaristiche.
La guerra appare così chiaramente da intendersi come rimedio alla crisi economica, acuta specialmente negli Usa, e al disagio sociale da essa provocata. L’integrazione dei sindacati e dei partiti della sinistra è infatti "il maggior successo del capitalismo dai tempi di Adam Smith"; e ad essa il capitalismo non può rinunciare.




Fabio Marcelli, Gli Usa contro il diritto internazionale: illiceità della guerra preventiva
La strategia statunitense della guerra preventiva – quale è esposta nei recenti documenti ufficiali e negli interventi dello stesso presidente Bush - appare in flagrante e grave contrasto con il diritto internazionale in tutte le sue varianti, comprese quelle che, nel passato, avevano ritenuto la legittimità della difesa preventiva. La dottrina giuridica indipendente è, in questo giudizio, praticamentp?e unanime.
Si tratta in effetti del tentativo di instaurare un ordine mondiale basato non più, come quello previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, sulla composizione pacifica delle controversie e l'eccezionalità del ricorso alla forza armata, ma viceversa sulla legittimazione piena di quest'ultima e quindi del dominio imperiale degli Stati Uniti. Contro questo tentativoe i rischi che esso comporta per il mondo occorre volgere ogni forza possibile, dalla elaborazione teorico-giuridica democratica alla più ampia mobilitazione civile.




Salvatore Minolfi, La Superpotenza "hobbesiana" e la disarticolazione dell’Occidente

La vicenda della guerra all'Irak ha sollevato profondi dissensi nella comunità internazionale e tra alcuni importanti alleati europei degli Stati Uniti. Ma le critiche ai recenti indirizzi dell'Amministrazione Bush sottovalutano la sostanziale continuità della politica estera americana, che appare guidata da una ricerca della preponderanza e che mira sia a riorganizzare un controllo neo-imperiale sulla periferia, sia a ristabilire una chiara gerarchia di potenza nel rapporto con gli altri centri del potere politico ed economico internazionale.
L'intera vicenda internazionale successiva alla fine della guerra fredda mostra che, a dispetto della retorica liberale, questo progetto può essere tenuto in vita solo esaltando le caratteristiche "hobbesiane" della statualità e ristabilendo un primato della "ragione strategica" nella gestione del potere economico e delle relazioni internazionali.
Le ragioni profonde della guerra e del progetto neo-imperiale erodono il tessuto connettivo dell'Occidente e costringono le sue diverse componenti – in primo luogo quella europea – a fare i conti con una crisi che minaccia di riscrivere la struttura e le regole dell'ordine internazionale.



Angelo Michele Imbriani, "Minaccia universale" e "guerra permanente" nella National Security Strategy 2002

La National Security Strategy 2002, principale documento programmatico dell’Amministrazione Bush, segnala una svolta storica nella politica estera americana e compromette la possibilità stessa di un diritto internazionale. L’analisi del documento e del dibattito che ne è scaturito conferma come l’11 settembre non segni una cesura, ma abbia aperto una "finestra di opportunità" per la realizzazione di progetti maturati subito dopo il 1989 negli ambienti della destra americana.
Nelle palesi contraddizioni della nuova strategia e dietro lo schermo del "terrorismo internazionale", degli "stati-canaglia", dell’"asse del male", della dottrina dell’"attacco preventivo", si legge infatti il proposito di codificare un nuovo sistema internazionale "della minaccia universale e della guerra permanente" e di sperimentare il relativo progetto.. Un tale sistema è funzionale alla supremazia americana, ma è sintomo, nel contempo, di una drammatica crisi di egemonia e del fallimento, economico, sociale ed ecologico, del modello di globalizzazione neoliberista.



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Enzo Modugno, Nota sul keynesismo in versione neoliberistica

Nell’interpretazione dell’a., dal 1941 (Pearl Harbour) gli Usa sono sempre in guerra. Anche la lunga "guerra fredda" non ostacolò, ed anzi alimentò poderosamente, la corsa agli armamenti, i quali del resto furono usati in molte guerre e\o repressioni periferiche. La scomparsa dell’Unione Sovietica sarebbe stata per il sistema americano un "disastro sociale" (G. Hallgarten) se i governi Usa non avessero inventato nuove minacce e nuovi nemici.
La proposta interpretativa di Modugno – che è debitrice dell’analisi fondamentale di P.A. Baran e P.M. Sweezy – si aggancia all’insegnamento principale che il capitalismo trasse dalla crisi del 1929: per superare la quale non bastarono gli investimenti nella spesa civile, per cui furono necessari appunto la seconda guerra mondiale e il diretto intervento in essa della Potenza americana.




Gregorio Piccin, Il Pentagono contro tutti verso lo spazio e la supremazia

Per l’anno fiscale 2003, il nuovo segretario della difesa Donald Rumsfeld ha già presentato un conto di 379,3 miliardi di dollari. Soltanto nei primi dieci giorni del 2003 gli Stati Uniti bruceranno quello che oggi l’Italia spende per la difesa in un anno. Gli Usa devono sostenere annualmente la loro guerra mondiale in ogni angolo del pianeta, essendo tutto il mondo, secondo la loro stessa teorizzazione, una enorme area di interesse.
Il sig. Rumsfeld, e in generale l’Amministrazione Bush, p?non hanno introdotto particolari novità in campo geostrategico e bellico. Hanno raccolto il lavoro della precedente Amministrazione e lo hanno sviluppato. Quando l'ex-ministro Cohen parlava di un generico "programma" che avrebbe garantito la supremazia militare agli Usa nel XXI secolo probabilmente si riferiva al corposo "Joint Vision 2010". Secondo gli strateghi militari l'obiettivo del programma JV 2010 é quello di "stimolare le varie forze armate a ragionare in termini di dominio globale dallo spazio agli abissi del mare". E' così che nel quadro del JV 2010 Esercito, Marina ed Aviazione stanno approntando o già realizzando i loro rispettivi sotto-programmi con piani massicci di ricerca e riarmo spinti sino al 2025, nonchè la creazione di una quarta forza armata spaziale.



Michele Paolini, L’"axis of evil" come concetto etico-geostrategico
L’a. prende in esame l’evoluzione della politica estera statunitense dalla fase di contrapposizione ai rogue states a quella di attacco all’axis of evil. Il passaggio segna, anche sul piano semantico, una radicalizzazione dei rapporti, ma anche una riduzione degli Stati percepiti come avversari da un gruppo di cinque ad uno di tre (Iran, Iraq, Corea del Nord). Mancava fin dall’inizio l’Afghanistan, per ragioni che fanno emergere con chiarezza sia lo schema generale sia le contraddizioni della politica asiatica perseguita dalla Casa Bianca.
Vengono ora estrapolati dal gruppo degli avversari la Siria e la Libia, che potrebbero rientrare in una strategia di decongestione politica ed ecp?onomica del Golfo, di rilancio del negoziato sulla questione palestinese e costruzione di una struttura economico-strategica allargata dal Golfo a un polo mediterraneo più a Ovest e a un polo centrasiatico più a Est. Conditio sine qua non, la "liberazione" dell’Iraq.




Giancarlo Lannutti, La guerra parallela di Sharon
"Per la Palestina e il suo popolo – scrive l’autore – si delinea un futuro immediato ancor più carico di difficoltà e di tragedie". L’equazione "Arafat = Bin Laden", già annunciata e duramente applicata da Israele nelle sue offensive repressive, ci preavvisa delle gravi ripercussioni che avrà nella regione la guerra americana contro l’Iraq. Ciò avverrà non tanto per la minaccia rappresentata da quest’ultimo, ma per la possibilità – che Sharon non si lascerà sfuggire – di liquidare definitivamente la partita con i palestinesi. Il parallelismo con Bush è dunque ideologico, ma anche strategico e pratico; e le sue conseguenze sono destinate ad incidere sul piano internazionale, anche al di là del teatro mediorientale.




Antonietta Vurchio, Sionismo

Il sionismo, movimento di rinascita nazionale ebraica, si sviluppa alla fine del XIX secolo in risposta al crescente antisemitismo nell’Europa centro-orientale, dove viveva il maggior numero di ebrei, ma anche in Occidente. Fu dapprima osteggiato anche dai settori ebraici ortodossi; p? ma dopo le guerre mondiali l’emigrazione in Palestina - dove dal 1917 la Gran Bretagna si era impegnata a riconoscere un "focolare nazionale ebraico" (dichiarazione Balfour) - divenne una via di scampo alla crisi europea e poi al genocidio tedesco-nazista. Alla fine della guerra, nonostante che la rivendicazione di uno Stato ebraico si opponesse ad un pari diritto della popolazione arabo-palestinese, alle Potenze occidentali (na anche all’Urss) sembrò opportuno accedere alla creazione dello Stato ebraico teorizzato da Herzl 50 anni prima.
Il sionismo divenne allora l’ideologia del nuovo Stato; un’ideologia fortemente nazionalista e alla sua volta razzista nei confronti dei palestinesi, scacciati nel 1948 dalla loro stessa terra, oppure confinati in ristretti territori. Fino al 1977 la maggioranza sionista al potere è stata essenzialmente di sinistra, socialdemocratica e laburista; ma fu poi sostituita dalla più agguerrita destra di Begin, che ha portato Israele alla politica di occupazione e repressione antiaraba ancor oggi perseguita dai governi israeliani di entrambi gli schieramenti.




Enrico Maria Massucci, Europa del liberismo e della guerra e Europa dei movimenti alternativi

L’a. rileva le inadempienze e le inadeguatezze dei gruppi dirigenti europei, allineati alla politica statunitense al di là degli elementi oggettivi di contrasto. Le manchevolezze dell’Unione europea frustrano le aspettative circa un automatico ruolo planetario progressivo del vecchio continente nel panorama mondiale.
Ma la storia e la cultura del continente europep?o contengono in sé significati e potenzialità profondamente alternativi rispetto sia al modello americano, sia al capitalismo: in primo luogo le tradizioni del movimento operaio e socialista. Ed esse contribuiscono a caricare il "movimento dei movimenti" e le sinistre radicali di nuovi compiti di proposta e di lotta contro liberismo e guerra, in nome della tradizione democratica dell’Europa.




Claudio del Bello, Fuori dall’Europa: il capitalismo italiano va alla guerra
Nel contesto della guerra infinita dichiarata dagli USA contro un nemico da definire in corso d’opera, si va delineando l’assetto istituzionale e costituzionale del "Superstato" europeo, che di fatto – per il suo solo delinearsi – si contrappone alla potenza d’oltreoceano.
Nell’Occidente nel suo complesso la natura dello Stato è oggetto di una grave ridefinizione che ne va mettendo in discussione le caratteristiche fondamentali assulte dalla Rivoluzione Francese in poi. L’Europa in costruzione è in ritardo e divisa nella definizione del nuovo quadro "costituzionale" su cui costruire l’identità europea. C’è lotta aperta, ma le varie "sinistre" quasi non vi partecipano, disponendosi su un arco di comportamenti che vanno dall’accettazione passiva alla denuncia "esterna". Né il "movimento dei movimenti" ha ancora fatto suo quest’ordine di problemi, che costituisce però lo scenario entro cui si svolge la sua azione politica e sociale e in cui si gioca la sua sopravvivenza-espansiop?ne.
Peggio di tutti sta l’Italia, con un capitalismo familiare in agonia da cui non è sorto – al contrario che in altri paesi continentali – un sistema di imprese fondato almeno sul riconoscimento della “legalità capitalistica”: società per azioni e trasparenza dei bilanci.




Michelangelo Guida, La Turchia tra islamismo e pragmatismo politico
La vittoria alle elezioni turche del 3 novembre 2002 del partito d’ispirazione musulmana Adalet ve Kalk›nma Partisi è stato seguito con grande attenzione e stupore dai media italiani ed europei. La vittoria non è stata invece una sorpresa per gli osservatori, anche perché il partito si è presentato all’elettorato con una formula sempre vincente della destra conservatrice, quella della: conciliazione tra liberismo e solidarietà sociale, laicismo e Islam. Il nuovo governo, però, si trova davanti a difficili decisioni sul piano internazionale: da un lato il governo Gül riconosce enorme importanza all’alleanza con gli Stati Uniti e capisce che una guerra contro l’Iraq potrebbe essere un buon trampolino di lancio per una nuova politica internazionale, dall’altro la guerra presenta seri rischi e altissimi costi, che potrebbero ricadere pesantemente sulla situazione interna.




Luigi Biondi, Esigenze di cambiamento e fragili equilibri in Brasile
Dal contributo del nostro corrispondente, che scrive a commento della vittoria elettp?orale di Lula da Silva, si evince la lacerante contraddizione fra il "turbinio di bandiere rosse" che ha portato "la speranza al potere" e la realtà geopolitica del paese.Il Brasile è infatti inevitabilmente condizionato dagli Usa e dal loro vecchio "diritto" imperialistico sul subcontinente. L’incontro postelettorale Lula – Bush si è svolto in piena diplomatica cordialità; Lula ha fatto dichiarazioni di estraneità alla questione irachena e ha formato un governo di coalizione comprendente esponenti moderati. Le sue alleanze interclassiste interne sembrano solide. Ma contemporaneamente egli ha dirottato finanziamenti dal militare al civile e ha concretamente appoggiato il presidente venezuelano Chavez. Sembra difficile che, proprio per i nuovi fermenti che percorrono l’America latina, gli Usa di Bush tollerino una egemonia regionale del nuovo governo brasiliano e del suo leader "rosso".



 


Vittorio Sartogo, Ecologia e "coscienza" nell’opera di Giorgio Nebbia
Alla figura e all’opera di Nebbiam sono stati dedicati due volumi che testimoniano la sua intensa attività di studio e i risultati cui egli giunge nell’analisi del nostro sistema produttivo di merci, di disuguaglianze sociali, di degrado irreversibile delle risorse naturali.
Nebbia, che pure fu tra i partecipanti dell’Assemblea delle Nazioni Unite di Stoccolma, critica severamente il concetto di sviluppo sostenibile. Egli sostiene infatti che non è fisicamente possibile produrre beni utilizzando risorse naturali, p?senza comprometterne la disponibilità per le generazioni future, come invece vorrebbe l’ideologia corrente della compatibilità. Si tratta di scegliere tra crescita e sviluppo e di lavorare per un nuovo sistema di rapporti sociali e politici; il che comporta inevitabilmente la contrazione dei consumi dei paesi ricchi.
Nebbia auspica la nascita di un movimento di liberazione contro le ingiustizie fra gli esseri umani e nel loro rapporto con la natura; e indica alcuni passi concreti e possibili in questa direzione. Nel giudizio di Sartogo, l’opera di Nebbia è indispensabile per orientarsi sul problema del rapporto uomo-natura e per affrontare il cambiamento necessario a fermare i processi catastrofici in corso.






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