Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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  Articolo pubblicato sul numero 42 di "Giano. Pace ambiente problemi globali", settembre-dicembre 2002

Keynesismo in versione liberista

di Enzo Modugno

In assenza di guerre generali, gli Usa fomentano minacce
e attuano interventi regionali
atti a giustificare un budget militare in continuo aumento



Il 1941 è nella storia delle guerre e del rapporto tra Stato e guerra un anno periodizzante. Non solo perché la guerra scoppiata nel 1939 diventa veramente mondiale con l’aggressione all’Unione Sovietica e con Pearl Harbour, ma perché gli Stati Uniti d’America sono stati da allora continuativamente in guerra. La loro “guerra infinita” comincia allora, con un salto qualitativo del rapporto guerra-economia.
La prima guerra mondiale era stata una guerra di rapina: il capitalismo delle due parti belligeranti aveva come fine la distruzione dei capitali della parte nemica per ereditarne i mercati e le colonie. Lo si vide bene a Versailles, quando fu chiaro che la guerra non era stata altro che la continuazione della concorrenza internazionale tra le grandi Potenze. Le crisi capitalistiche nell’800 – sostanzialmente crisi di sovrapproduzione - erano state devastanti, e avevano colpito i capitali indiscriminatamente su scala internazionale. Con il 1914 e con l’esperienza della guerra totale, ci si avvia a chiedersi: perché far distruggere dalla crisi i propri capitali? Andiamo a distruggere i capitali degli altri, in modo da evitare che siano colpiti i nostri. Quella guerra consistette quindi evidentemente in una gestione militare della crisi economica: il ciclo economico diventa un ciclo di guerre mondiali. Lo videro bene coloro – come Lenin e Buckarin, come gli esponenti del nuovo comunismo novecentesco - che parlarono di imperialismo e di una prospettiva di più guerre generali imperialistiche.
La guerra (che per gli americani durò circa un anno e mezzo, tra 1917 e ’18) come gestione della crisi funzionò a meraviglia: il capitalismo tedesco fu colpito gravemente e per il momento azzerato, perdette colonie e mercati, mentre gli Usa si avviarono a diventare la prima Potenza mondiale. Gli anni Venti furono un decennio di grande euforia e di inedito sviluppo economico: il fordismo ne fu la manifestazione più evidente. La produzione raggiunse in America livelli tali, che ne derivò la crisi di sovrapproduzione più devastante del ‘900: quella che scoppiò nel “giovedì nero” dell’ottobre 1929.
Qui si pone un problema decisivo: è possibile una guerra mondiale ogni volta che si ripresenta la crisi economica? Nel 1929 non c’era ancora una guerra mondiale a portata di mano. Ne seguì la più grave e lunga depressione del secolo, che ancora nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, non era stata risolta.
La società americana si era intanto avviata ad una trasformazione economica e sociale radicale, per l’affermarsi del taylorismo-fordismo e dei consumi di massa. Si scoperse che era possibile manipolare i consumi di massa cioè agire sulla domanda, portandola a livello della quantità delle merci prodotte. Keynes poté allora dire che lo Stato avrebbe potuto intervenire per sostenere la domanda, tra l’altro con la spesa pubblica. La spesa pubblica può essere civile o militare; la prima via, quella della spesa pubblica civile, fu tentata dagli Usa con il New Deal, che però non fu sufficiente; la depressione – ripetiamo – non accennò a sparire.
Quale fu dunque l’insegnamento della crisi?
Occorre riflettere in primo luogo, sul fatto che essa avvenne esattamente a metà del periodo “tra le due guerre”, periodo che gli storici oggi concordemente riassorbono nella definizione di una ininterrotta “nuova guerra dei trenta anni”, dal 1914 al 1945. La politica economica statunitense[...] continua



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