Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
archivio indici (1989-1998) abbonamenti informazioni altre pubblicazioni english links
Articolo pubblicato sul numero 40 di "Giano. Pace ambiente problemi globali", gennaio-aprile 2002

L’ECONOMIA MONDIALE DEL CAPITALISMO:
SVILUPPO ECONOMICO E CATASTROFI SOCIALI

di Michele Nobile


Nonostante le tesi che assegnano un ruolo centrale al "socialismo" e al "mondo socialista", il capitalismo ha dominato l’intero secolo. oggi esso non ha più alibi



Globalizzazione e ineguaglianze

Ad uno sguardo retrospettivo il secolo XX appare innanzitutto come un’epoca di estremi, come qualcosa difficile da definire con un’unica parola e di cui si può parlare solo al superlativo. Questo, è noto, è il giudizio di Eric Hobsbawm nel suo The Age of Extremes. The short twentieth century. Un giudizio che condivido e che in effetti non è nuovo. Già nel 1944 Max Horkheimer e Theodor Adorno, con un linguaggio molto diverso, affermarono l’intrinseca contraddittorietà di un’epoca che creava nello stesso tempo sia le condizioni per la realizzazione delle promesse di liberazione dell’illuminismo sia quelle del dispiegamento della barbarie, del rovesciarsi del progresso in regresso e catastrofi.
I detrattori hanno assimilato la posizione dei francofortesi a quella dell’irrazionalismo antiscientifico. Ma Horkheimer e Adorno criticavano una logica sociale, non la razionalità in genere nè la stessa razionalità strumentale. Essi criticavano la riduzione degli uomini e dei loro reciproci rapporti a rapporti tra cose, la combinazione della naturalizzazione dei rapporti sociali e della pretesa alla integrale socializzazione o del dominio assoluto sulla natura. Due tendenze complementari, che si rafforzano a vicenda ed il cui effetto estremo è la negazione di ogni intrinseco valore tanto dell’essere umano quanto della natura. La causa di queste tendenze, a ben vedere, è la logica sociale del capitalismo, che Horkheimer e Adorno caratterizzavano come mossa dalla riduzione delle concrete particolarità umane e naturali all’astrazione del valore di scambio mediante la manipolazione meramente strumentale. Essi respingevano la pretesa di dissolvere la contraddittorietà del reale nell’identità totalitaria della feticizzazione mercantile, a cui collegavano la dissoluzione dell’individualità autentica, anche nei paesi liberali. Indicavano così i nessi tra pretesa ad un dominio assoluto sulla natura e dominio sugli uomini, tra microrazionalità strumentale e irrazionalità della totalità sociale, tra liberalismo e tendenze totalitarie.
La teoria critica francofortese prese forma proprio mentre nell’Unione Sovietica la frazione staliniana avviava la collettivizzazione forzata dell’agricoltura e l’industrializzazione a tutti i costi. Essa suonava, quindi, anche come una critica radicale alla statalizzazione del socialismo ed alla burocratizzazione delle organizzazioni operaie, ma il terreno su cui nasceva era quello dell’emergere, in una formazione sociale per molti versi all’avanguardia quale era la Germania di Weimar, delle tendenze totalitarie latenti nella società capitalistica e che presto avrebbero trovato il modo di dispiegarsi nel modo più aperto e feroce.
I francofortesi concettualizzavano filosoficamente la paradossalità della modernità, la coesistenza di istanze di liberazione con la riproduzione ed il rinnovarsi del dominio degli apparati del potere economico e politico sugli individui massificati, anche mediante la mutilazione e funzionalizzazione delle originarie istanze di liberazione.
La teoria critica francofortese [...] continua



ABBONATI

archivio / indici (1989-1998) / abbonamenti / altre pubblicazioni / informazioni / english / links


top_of_page
back home forward