Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
archivio indici (1989-1998) abbonamenti informazioni altre pubblicazioni english links
Premessa editoriale al numero 1 di "Giano. Ricerche per la pace", gennaio-aprile 1989

LA CRISI INTERNAZIONALE del decennio che sta per chiudersi ha provocato la prima grande reazione di massa al rischio d’una guerra atomica, tale da poter provocare la fine della civiltà umana.

Nessun paragone è possibile con l’impatto dei precedenti eventi, pur importanti, dell’età nucleare. Dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki fino alla fine degli anni ’70, lo sviluppo di movimenti pacifisti fu ostacolato dalla fulmineità dei fatti militari e politici e dal particolare contesto in cui si svolsero, oppure fu animata da una coscienza ancora parziale dei caratteri della nuova èra. Del resto, la crescita degli armamenti atomici raggiunse la capacità del completo sterminio presumibilmente nel corso degli anni ’60, e la successiva fase negoziale tra le Superpotenze suscitò speranze illusorie ma paralizzanti, rimanendo in ogni caso inscritta nella logica dell’"equilibrio del terrore".

Nei primi anni ’80 la "dottrina" del controllo degli armamenti non solo non ha impedito processi di riarmo, ma si è dimostrata impari rispetto ai più pericolosi sviluppi militari e politici della condizioni atomica.

L’ingresso nel "decennio più pericoloso della storia" – come è stato definito nell’appello lanciato nel 1980 dall’European Nuclear Disarmament – ha così suscitato un’ondata di rifiuto che si rivolgeva alla totalità di un modello di relazioni internazionali potenzialmente apocalittico, e gli contrapponeva il principio del disarmo come asse di un nuovo paradigma politico generale. È dunque in relazione alla questione degli "euromissili" e alle sue implicazioni che la "coscienza atomica" – come processo che rende consapevoli della "differenza specifica" del nostro tempo storico, consistente nella "possibilità dell’autodistruzione del genere umano" (Günther Anders) – è entrata a far parte della ideologia collettiva e ha dato luogo a un movimento pacifista di massa.

Sulla influenza di questo movimento nel determinare l’inizio d’un nuovo corso dei rapporti internazionali non è possibile avere dubbi; e non per la tendenza all’autogratificazione di chi vi ha partecipato, ma per prove di fatto e per ammissione degli stessi leaders politici degli opposti schieramenti. Altrettanto indiscutibili sono stati tuttavia i limiti della mobilitazione, la ua frammentarietà, la sua prevalente natura di risposta vitalistica ad un rischio imminentespiuttosto che di spinta consapevole alla costruzione di un mondo pacifico; spinta che sia capace di dare un senso politico alla premessa esistenziale della stessa "coscienza atomica". Quei limiti hanno gravemente pesato nel determinare stasi e fratture nel movimento, che è stato travolto dalle iniziative di guerra direttamente partite dal "centro" (Grenada, Falkland) e non ha sviluppato iniziative efficaci nei confronti dei conflitti armati e delle repressioni in atto nelle profonde "periferie" del mondo; e che, infine, sembra rimasto spiazzato dal processo distensivo in atto tra le Superpotenze, e dai suoi risultati più vistosi.

La nostra rivista nasce anche dalla convinzione che, se il processo distensivo va salutato con sollievo e risolutamente appoggiato, esso – in assenza di una continua e crescente pressione dal basso – rimarrà confinato nell’andamento ciclico dei rapporti tra Stati e blocchi militari contrapposti. Rapporti nei quali esso deve invece incidere nel senso di una profonda trasformazione sociale della politica e delle grandi scelte, non solo militari e strategiche, che l’umanità si trova a dover affrontare.

Ma come far sì che il movimento non si spezzi, che non venga disperso e svuotato, che al contrario aumenti di forza e di coscienza, di fronte ad un complesso di rischi e di potenzialità apocalittiche che è rimasto sostanzialmente immutato rispetto alla fase più acuta della crisi?

Negli studi e nei dibattiti interni al pacifismo è venuta affermandosi un’autocritica che indica nella carenza di adeguate basi scientifico–politiche e nella connessa prevalenza dei fattori emotivi primari una causa fondamentale delle debolezze riscontrate. Non vi sono stati né un consistente coinvolgimento di intellettuali e studiosi né una sufficiente crescita culturale del movimento nel suo complesso. Ciò vale particolarmente per l’Italia, la cui condizione di paese di frontiera verso l’Est e il Sud, con un territorio disseminato di basi e depositi nucleari, e come tale esposto a pericoli che la classe di governo vorrebbe escludere dal pensabile e perfino dal conoscibile, stride (o fa tutt’uno?) con l’assenza di un serio dibattito sulle grandi e "piccole" scelte di politica estera e militare e con la spensieratezza di buona parte degli intellettuali – tra i quali tutti, si può dire, gli "opinionisti" dei mass media – la cui vita e i cui interessi fanno pensare ad una perpetua (e invidiabile) condizione liceale.

Ben diversamente efficace è stata in altri paesi la elaborazione dei nuovi problemi e il suo innesto in tradizioni sostanzialmente ininterrotte di ricerca teorica e di pacifismo attivo.

Dare, anche in Italia, in stretto contatto e in collaborazione con la ricerca internazionale, una fondazione scientifica alla peace research senza distaccarsi dal movimento e anzi per il movimento di cui noi stessi siamo parte, in vista d’una sua più solida strutturazione, è dunque il fine principale che ci proponiamo.

È un fine ambizioso, non per presunzione di successo ma per la terribile complessità e ambiguità del Giano bifronte che assumiamo come titolo e come simbolo.

Mai l’umanità si è trovata in un’impasse altrettanto tragica come in questo scorcio del XX secolo, nel quale le paure escatologiche di passati lontani dal nostro contesto sociale e culturale sembrano concretarsi nel rischio dell’umanicidio per opera dell’uomo. E mai, del resto, un secolo s’era bagnato di sangue come questo, che è passato dai massacri dell’imperialismo all’"inutile strage" della prima guerra mondiale e all’eccidio e genocidio sistematico della seconda, con i campi di sterminio, i bombardamenti a tappeto delle città, i funghi atomici dell’agosto 1945; e che nei decenni successivi, mentre tra le Superpotenze si stabiliva l’"equilibrio del terrore", ha visto svolgersi decine di guerre "convenzionali", con un numero di morti largamente superiore a quello del 1914–18 e un numero ancora più alto di vittime per cause direttamente o indirettamente collegate ai conflitti armati o ai rapporti economici e politici perversi tra centro e periferia.

Questo crescendo di tragedie collettive verso una guerra generale "annunciata", per la quale è mancata l’occasione "fatale" che sfugge di mano ai politici ma non l’accumulo deliberato di elementi di rischio, chiama dunque in causa altre analisi da quelle strategico–militari, altri strumenti da quelli bellici, altre culture e pratiche rispetto a quelle di dominio e di alienazione della politica; ma anche altri studi da quelli accademici, con la loro "disarmante" compartimentazione, e altre ipotesi e vie di sviluppo della storia.

Nessuno statuto tradizione di specialità è sufficiente all’impresa pacifista, né questa vuole costituire una specialità propria. La necessaria interdisciplinarità va intesa come tendenziale unificazione, anche nel singolo o nel piccolo gruppo di studiosi, di conoscenze, esperienze, metodologie; e la cerniera dell’unificazione va trovata in una nuova eticità di respiro globale, la stessa nella quale sono venuti realizzandosi anche in Italia – dapprima su base locale e territoriale, poi in istituzioni nazionali e in iniziative pacifiste interessanti scuole e università – i primi tentativi di collaborazione tra fisici e storici, medici e sociologi, psicologi e filosofi; la stessa che ha condotto fisici a scrivere da storici, psicoanalisti ad occuparsi di problemi socio–politici, uomini di religione a operare per la salvezza laica dell’uomo.

Il concetto di pace da costruire ha infiniti addentellati e la dizione "ricerca per la pace" contenuta nel nostro sottotitolo intende quella totalità problematica che materialmente va elevando i caratteri del tempo in cui viviamo a dimensioni planetarie sconosciute alle precedenti generazioni. La coscienza deve, soprattutto ora, adeguarsi all’essere.

E già, nonostante i limiti che abbiamo denunciato, la cultura che si sta fondando ha raggiunto livelli di sensibilità – se non ancora di sistemazione teorica – che vanno registrati positivamente. L’esempio più importante in proposito riguarda appunto il modello o i modelli di sviluppo, rimessi in discussione a partire dall’individuazione delle vocazioni catastrofiche insite non solo nella tendenza alla guerra in quanto evento finale nel quale l’uno trascina l’altro, ma nell’elemento comune della crescita industriale (e industriale–militare) e della relativa tipologia di drenaggio energetico e di rapporto della prassi umana con la natura. Three Mile Island e Cernobyl hanno insegnato qualcosa di incancellabile a donne e uomini di tutto il mondo.

Il nuovo pensiero ecologico e l’elaborazione pacifista si incontrano in questo punto basilare, così come i rispettivi movimenti o segmenti di movimento tendono a confluire in una direzione unica; così come l’insieme del nuovo lavoro di ricerca e l’insieme del movimento pratico tendono ad una costituzione e ad una progettualità unitarie.

Nei nostri intenti è quindi la collaborazione tra studiosi che hanno una diversa formazione filosofico–politica, diverse esperienze generazionali, competenze disciplinari e professionali apparentemente incomunicabili e perfino priorità di preoccupazioni non perfettamente coincidenti. Una collaborazione che, proprio perciò, sia confronto aperto, sottratto ad ogni forma di condizionamento partitico e rigorosamente autonomo da vicini e lontani interessi di Stato, unicamente volto alla costruzione di una cultura critica alternativa ai sistemi di potere politico ed economico nei quali sta la fonte dei rischi finali.

In confronto è, in effetti, avviato già in questo primo numero di "Giano".

Valgano ad esempio alcune posizioni espresse negli scritti di Giuseppe Longo e di Aldo Visalberghi; scritti che siamo ben lieti di pubblicare per il loro valore, e i cui Autori hanno già recato importanti contributi alla peace research.

Non tutti i redattori e collaboratori di "Giano" – anche quelli che consentono con l’analisi della situazione internazionale contenuta nel saggio di Longo – sono d’accordo sulla possibilità e opportunità che l’Italia stia nella NATO in un "modo diverso", poiché ritengono che l’obiettivo dell’uscita dall’alleanza corrisponda più efficacemente, oltre che alla gravità dei rischi che pesano sul nostro e su altri paesi, alle tradizioni ed agli orientamenti prevalenti nel movimento per la pace e al fine del superamento dei blocchi militari.

Inoltre, a molti lettori appariranno discutibili il giudizio di Visalberghi sulla necessità delle centrali nucleari e l’argomentazione che lo sostiene.

Ma, appunto, ciò che è discutibile (nello scritto di Visalberghi e anche in altri di diverso orientamento) va accolto come tema e motivo di discussione. È nel programma della rivista di affrontare questi ed altri fondamentali problemi in saggi specifici, sui quali saranno invitate ad esprimersi voci diverse nell’ambito del pensiero pacifista ed ecologista, e sollecitati ad intervenire anche coloro che, nella vita, nel lavoro, nella scuola, sono impegnati attivamente nel movimento per la pace e per l’ambiente.

L’impegno alla ricerca che intendiamo promuovere non è infatti fine a se stesso, ma mira a ricercare e approfondire un rapporto organico con le varie componenti e le varie "generazioni" del movimento per la pace e per l’ambiente, che valga anche ad incoraggiare quei collegamenti organizzativi che già stanno prendendo forma tra gruppi militanti locali e nazionali, attraversando anche le formazioni politico–parlamentari e perseguendo una proprie capacità di proposta.

Da questa collaborazione e da questo rapporto dipendono le sorti della rivista e, forse, per una parte che vorremmo non trascurabile, quelle dei problemi ai quali essa è dedicata.



ABBONATI

archivio / indici (1989-1998) / abbonamenti / altre pubblicazioni / informazioni / english / links


top_of_page
back home forward