Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
archivio indici (1989-1998) abbonamenti informazioni altre pubblicazioni english links
Articolo pubblicato sul numero 31 di Giano. Pace ambiente problemi globali, gennaio-aprile 1999

"INGERENZA UMANITARIA" E RIDEFINIZIONE DEI RAPPORTI DI FORZA

di Nicola Cufaro Petroni


Le condizioni provocatorie di Rambouillet hanno esposto la Jugoslavia ad un massiccio attacco, e il Kosovo alla "catastrofe umanitaria" dei profughi



Se valutato in rapporto agli obiettivi dichiarati all’inizio delle operazioni l’intervento della Nato contro la Rfj (Repubblica Federale Jugoslava) si presenta innanzitutto come uno straordinario errore di calcolo. Le motivazioni potevano essere inizialmente classificate in tre categorie:

In astratto questi obiettivi sono, almeno parzialmente, condivisibili. Il primo, ad esempio, lo è per ragioni del tutto generali: come persone civili riteniamo infatti che uno Stato, pur avendo il diritto di difendere la propria esistenza contro manifestazioni di separatismo armato, non possa e non debba farlo con mezzi che violino i diritti fondamentali dei suoi cittadini; esso deve, infatti, garantire loro non solo un’adeguata libertà di espressione, ma anche, per citare solo alcuni esempi, la sicurezza, il benessere, la salute e l’istruzione. E naturalmente questi devono essere garantiti indipendentemente da razza, lingua, credo politico o religioso e sesso. Bisogna però aggiungere che gli anni ‘90 sono stati purtroppo caratterizzati dalla diffusione della nefasta idea che tali garanzie potessero essere ottenute per le minoranze solo tramite l’istituto della secessione più o meno unilaterale: un principio che è stato applicato in modo particolare per gli stati che uscivano dal blocco dei paesi dell’Europa Orientale. Sfortunatamente da un lato queste secessioni hanno provocato tragedie di grandi proporzioni (Jugoslavia, Georgia, Armenia, Azerbaijan, Moldavia, Cecenia, per limitarci all’Europa), e dall’altro non è risultato per niente chiaro per quale motivo la sostituzione di uno stato totalitario con un certo numero di autocrati locali – come spesso è accaduto – potesse migliorare la situazione dei cittadini, o garantire maggiormente il rispetto dei diritti umani.


Anche il secondo obiettivo è in linea di principio condivisibile dal momento che tutti concordiamo sul fatto che le controversie politiche non possano trovare soluzione civile se non attorno ad un tavolo di trattativa. Certo sarebbe interessante domandarsi – e ci riserviamo di farlo più innanzi nel corso di queste note – se il negoziato di Rambouillet sia stato condotto in buona fede o se non si sia configurato piuttosto come un tentativo di imporre, con altri scopi, una soluzione per alcuni aspetti inaccettabile ad una delle due parti. È innegabile però che il tentativo di riprendere le fila della diplomazia non può che trovarci consenzienti.


Cruciale appare, poi, il terzo obiettivo: la comunità internazionale ha infatti riconosciuto, e riconosce tuttora, anche se con sempre minore energia, che l’indipendenza del Kosovo, basata su una variazione non consensuale di frontiere internazionali unanimemente accettate, creerebbe più problemi di quanti non ne risolva. In un’area caratterizzata da un grande complessità religiosa, linguistica e politica, infatti, la creazione di un tale nuovo stato rischierebbe di destabilizzare la Macedonia; di riaccendere gli interessi dell’Albania, della Bulgaria e della Grecia (un membro della Nato con contenziosi di frontiera aperti con Albania, Macedonia e Turchia); di rendere irresistibili le spinte da un lato verso l’unificazione della Repubblica Serba di Bosnia con la Serbia propriamente detta, e della parte croata della Bosnia con la Croazia, e dall’altro verso la secessione del Montenegro; e infine di riattizzare un rinnovato interesse della Turchia per quest’area. In una parola: rimetterebbe in movimento una valanga che sembrava essere stata arrestata dagli accordi di Dayton del 1995 e il cui risultato potrebbe essere una qualche riedizione delle Guerre Balcaniche del 1912–13. Inoltre la vicenda costituirebbe un pericoloso segnale per gruppi separatisti spregiudicati ai quali sembrerebbe dimostrato che è sufficiente provocare un governo ad una repressione abbastanza brutale, e mobilitare la stampa per creare un caso umanitario, per veder schierato dalla propria parte l’aiuto di potenti forze armate esterne. Peraltro questo, anche se non dovesse rivelarsi vero strettamente parlando, sicuramente genererebbe delle pericolose illusioni.


[...] continua



ABBONATI

archivio / indici (1989-1998) / abbonamenti / altre pubblicazioni / informazioni / english / links


top_of_page
back home forward