Rivista quadrimestrale interdisciplinare fondata nel 1989 |
"INGERENZA UMANITARIA" E RIDEFINIZIONE DEI RAPPORTI DI FORZA
di Nicola Cufaro Petroni
Le condizioni provocatorie di Rambouillet hanno esposto la Jugoslavia ad un massiccio attacco, e il Kosovo alla "catastrofe umanitaria" dei profughi
Se valutato in rapporto agli obiettivi dichiarati allinizio delle operazioni lintervento della Nato contro la Rfj (Repubblica Federale Jugoslava) si presenta innanzitutto come uno straordinario errore di calcolo. Le motivazioni potevano essere inizialmente classificate in tre categorie:
- obiettivi umanitari: arrestare la violenta repressione in corso contro i separatisti albanesi dellUck (Esercito di Liberazione del Kosovo) e la popolazione civile del Kosovo;
- obiettivi diplomatici: obbligare il governo della Rfj ad accettare le proposte avanzate in febbraio a Rambouillet;
- obiettivi politici: la restaurazione dellautonomia del Kosovo, ma non della sua indipendenza, secondo uno schema simile a quello della Costituzione jugoslava del 1974 abolita nel 1989.
In astratto questi obiettivi sono, almeno parzialmente, condivisibili. Il primo, ad esempio, lo è per ragioni del tutto generali: come persone civili riteniamo infatti che uno Stato, pur avendo il diritto di difendere la propria esistenza contro manifestazioni di separatismo armato, non possa e non debba farlo con mezzi che violino i diritti fondamentali dei suoi cittadini; esso deve, infatti, garantire loro non solo unadeguata libertà di espressione, ma anche, per citare solo alcuni esempi, la sicurezza, il benessere, la salute e listruzione. E naturalmente questi devono essere garantiti indipendentemente da razza, lingua, credo politico o religioso e sesso. Bisogna però aggiungere che gli anni 90 sono stati purtroppo caratterizzati dalla diffusione della nefasta idea che tali garanzie potessero essere ottenute per le minoranze solo tramite listituto della secessione più o meno unilaterale: un principio che è stato applicato in modo particolare per gli stati che uscivano dal blocco dei paesi dellEuropa Orientale. Sfortunatamente da un lato queste secessioni hanno provocato tragedie di grandi proporzioni (Jugoslavia, Georgia, Armenia, Azerbaijan, Moldavia, Cecenia, per limitarci allEuropa), e dallaltro non è risultato per niente chiaro per quale motivo la sostituzione di uno stato totalitario con un certo numero di autocrati locali come spesso è accaduto potesse migliorare la situazione dei cittadini, o garantire maggiormente il rispetto dei diritti umani.
Anche il secondo obiettivo è in linea di principio condivisibile dal momento che tutti concordiamo sul fatto che le controversie politiche non possano trovare soluzione civile se non attorno ad un tavolo di trattativa. Certo sarebbe interessante domandarsi e ci riserviamo di farlo più innanzi nel corso di queste note se il negoziato di Rambouillet sia stato condotto in buona fede o se non si sia configurato piuttosto come un tentativo di imporre, con altri scopi, una soluzione per alcuni aspetti inaccettabile ad una delle due parti. È innegabile però che il tentativo di riprendere le fila della diplomazia non può che trovarci consenzienti.
Cruciale appare, poi, il terzo obiettivo: la comunità internazionale ha infatti riconosciuto, e riconosce tuttora, anche se con sempre minore energia, che lindipendenza del Kosovo, basata su una variazione non consensuale di frontiere internazionali unanimemente accettate, creerebbe più problemi di quanti non ne risolva. In unarea caratterizzata da un grande complessità religiosa, linguistica e politica, infatti, la creazione di un tale nuovo stato rischierebbe di destabilizzare la Macedonia; di riaccendere gli interessi dellAlbania, della Bulgaria e della Grecia (un membro della Nato con contenziosi di frontiera aperti con Albania, Macedonia e Turchia); di rendere irresistibili le spinte da un lato verso lunificazione della Repubblica Serba di Bosnia con la Serbia propriamente detta, e della parte croata della Bosnia con la Croazia, e dallaltro verso la secessione del Montenegro; e infine di riattizzare un rinnovato interesse della Turchia per questarea. In una parola: rimetterebbe in movimento una valanga che sembrava essere stata arrestata dagli accordi di Dayton del 1995 e il cui risultato potrebbe essere una qualche riedizione delle Guerre Balcaniche del 191213. Inoltre la vicenda costituirebbe un pericoloso segnale per gruppi separatisti spregiudicati ai quali sembrerebbe dimostrato che è sufficiente provocare un governo ad una repressione abbastanza brutale, e mobilitare la stampa per creare un caso umanitario, per veder schierato dalla propria parte laiuto di potenti forze armate esterne. Peraltro questo, anche se non dovesse rivelarsi vero strettamente parlando, sicuramente genererebbe delle pericolose illusioni.
[...] continua
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