Rivista quadrimestrale interdisciplinare
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Articolo pubblicato sul numero 32 di Giano. Pace ambiente problemi globali, maggio-agosto 1999

LA GUERRA NELLA PERCEZIONE RUSSA: STATI D’ANIMO E DIBATTITO POLITICO

di Andrea Panaccione


Obbligata a "guardarsi nello specchio", la Russia scopre la propria debolezza, ma anche il retroterra politico–culturale della "tradizione eurasiatica"




Il clima della guerra

Che la guerra della Nato contro la Serbia abbia dato la misura di un ridimensionamento nel lungo periodo del ruolo della Russia nei rapporti internazionali è un fatto di per sé evidente, ed è stato del resto rilevato abbondantemente in questi mesi dalla stampa e dall’opinione pubblica russa e internazionale. Del resto la stessa classe politica russa ha dato fin dall’inizio dei messaggi molto chiari riguardo al suo sentirsi direttamente coinvolta e presa di mira dallo scatenamento della guerra: da un atto simbolico, ma di grande impatto, come l’interruzione del volo che stava portando a Washington il primo ministro Evgenij Primakov nel momento in cui sono iniziati i bombardamenti, alla immediata paralisi del consiglio permanente Russia–Nato, l’unica struttura di collegamento esistente tra il paese e un blocco militare ormai esteso fino ai confini dell’ex Unione sovietica, agli stessi tentativi di mediazione russa, svoltisi spesso in un clima di sostanziale ostilità almeno della partnership anglo–americana che aveva la direzione della guerra e portati avanti del resto dai russi anche come una forma di pressione sugli Stati impegnati militarmente e sullo stesso Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma, al di là di queste manifestazioni di maggiore impatto e risonanza, può essere utile soffermarsi sul modo in cui la guerra, le sue conseguenze, il suo carattere dimostrativo e rivelatorio, sono stati vissuti dall’opinione pubblica russa, anche perché questo tipo di percezione è destinato probabilmente a giocare una parte importante negli sviluppi che attendono il paese, sul piano internazionale come su quello interno.


L’immagine di Giulietto Chiesa che la Russia sia stata come obbligata dalla guerra a guardarsi allo specchio, a riconoscere per la prima volta "che il problema del destino della Russia è ormai intrinsecamente connesso con l’evoluzione dei rapporti di forza mondiali" (La Russia allo specchio, "Limes", quaderno speciale su Kossovo. L’Italia in guerra, 1999, p.111) è suggestiva, ma per molti aspetti discutibile, se si tiene presente la frequenza con la quale i temi della collocazione internazionale del paese sono stati trattati sulla stampa e nella letteratura politica russa di questi anni. E’ vero comunque che una cosa è un dibattito politico sulle prospettive mondiali e un’altra il determinarsi di una situazione di fatto nella quale obiettivo della guerra e dei bombardamenti era uno Stato come quello serbo, considerato in questi anni come un punto di riferimento dell’iniziativa russa nei Balcani, mentre coinvolti nella conduzione della guerra, nella loro qualità di nuove reclute della Nato, erano anche alcuni dei vicini della Russia, già membri del patto di Varsavia. Di qui una sensazione di pericolo, di isolamento ed emarginazione dai rapporti mondiali, che si è ripetuta in occasione dell’episodio del divieto posto da Ungheria, Romania e Bulgaria, su ordine della Nato, ai voli russi per il trasporto delle truppe russe nel Kossovo, secondo quanto previsto dalla risoluzione che aveva posto fine alla guerra.


La situazione prodotta dalla guerra ha significato per i russi una conferma evidente di preoccupazioni che già da tempo erano state espresse, pur con tutte le cautele ufficiali possibili, da Primakov nella sua qualità di ministro degli Esteri, quando aveva ammonito gli occidentali e in particolare gli americani a "tenere consultazioni e non porre l’interlocutore di fronte al fatto compiuto" (Noi siamo la locomotiva dell’Eurasia, Colloquio con Evgenij Primakov, ministro degli Esteri della Russia, "Limes", n.2, 1996, p.54), e da uno degli uomini politici russi più stimati e incoraggiati nel mondo occidentale, Grigorij Javlinskij, il quale, in un articolo apparso su "Foreign Affairs" nella primavera dell’anno scorso, si era posto la domanda su quale fosse il reale atteggiamento degli occidentali nei confronti della Russia: "[...] quando l’Occidente dice ai russi: ‘La democrazia russa è una buona cosa, i mercati russi sono una buona cosa, i rapporti della Russia con l’Occidente vanno bene, e quindi la Nato si espande fino ai confini russi’, non dà un buon esempio di logica e lascia il popolo russo e i suoi dirigenti disorientati e amareggiati" (Russia’s Phony Capitalism, "Foreign Affairs", May–June 1998, p.77).


[...] continua

 



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