Rivista quadrimestrale interdisciplinare fondata nel 1989 |
LO STATO E LE METAMORFOSI DELLA GLOBALIZZAZIONE:
DALLA CRISI DEL FORDISMO ALLA NUOVA ECONOMIAdi Riccardo Bellofiore
Introduzione
Ringrazio coloro che mi hanno preceduto per la qualità delle loro relazioni, ma anche per la quantità degli interrogativi e degli stimoli. Debbo dichiarare subito, anche perché il discorso che farò apparirà probabilmente molto più discontinuista di quelli di stamattina, che mi trovo daccordo pressoché su tutto quello che è stato detto sia da Michele Nobile sia da Maria Turchetto. Però, facendo un po lavvocato del diavolo, ritengo quasi naturale che le loro relazioni suscitino anche una serie di dubbi o addirittura di critiche.
In un certo senso la mia relazione sarà un tentativo di rispondere a queste critiche. Però è indubbio che le due relazioni, in particolare quella di Michele Nobile, possano essere lette allinsegna di una sorta di continuismo nella visione della globalizzazione attuale, quasi che essa non facesse altro che inverare un carattere permanente, la natura mondiale del capitale: è un fraintendimento, ed un rischio, che si è dovuto correre, forzatamente, in quanto nella seconda metà degli anni 90 lurgenza sia teorica che politica era quella di contrastare una lettura riduttiva e unilaterale della globalizzazione come salto epocale che ci avrebbe fatto entrare in unera che sarebbe stata caratterizzata dalla fine del lavoro, dalla scomparsa della gestione politica delleconomia, in fondo dalla stessa eutanasia del rapporto capitalistico.
Credo che un pericolo simile a quello di Nobile sia quello che coraggiosamente ha deciso di correre Maria Turchetto. La stessa metafora da lei impiegata, quella del ciclo avanzata, certo, per combattere lidea antropomorfica del capitalismo come organismo che nasce, si sviluppa, e muore in qualche modo rimane allinterno di una sorta di metafora biologica, spostata ovviamente dallindividuo essere umano alla vicenda naturale, e rischia anche se Maria Turchetto stamattina ha dato degli spunti per mostrare che così può non essere di sottovalutare le rotture e le novità nei cicli per mettere in evidenza invece il ripetersi di una regolarità.
Un intervento stamattina ha in fondo detto proprio questo quando ha osservato che dalle relazioni della mattinata emergerebbe limpressione che nulla è cambiato, tutto è rimasto comera. Questo rischio, peraltro, si è sentito di meno nella relazione di Maria Turchetto perché rispetto a Michele Nobile mi pare lei abbia, a un certo punto, spostato laccento dalla discussione puramente e semplicemente della globalizzazione alla analisi della cosiddetta "nuova economia", quindi qualcosa di cui si è cominciato a dibattere alla seconda metà degli anni 90. Io credo che in effetti questo passaggio sia essenziale, perché mentre condivido le critiche di Michele Nobile e critiche consimili che si possono fare alla letteratura sulla globalizzazione, critiche efficaci e necessarie, sono però anche convinto che esse fotografino lo stato del dibattito sulla globalizzazione quale si svolgeva nella prima metà degli anni 90.
Anche a me è capitato di organizzare nel 1997 un convegno allUniversità di Bergamo, di cui è stato pubblicato poi lanno dopo il volume degli atti, prima in italiano poi in inglese (cfr. Il lavoro di domani. Globalizzazione finanziaria, ristrutturazione del capitale e mutamenti della produzione, a cura di Riccardo Bellofiore, Pisa, Bfs, 1998; Global Money, Capital Restructuring and the Changing Patterns of Labour, Riccardo Bellofiore ed., Edward Elgar, Cheltenham UK, 1999), dove tutto sommato potete verificarlo voi stessi andando a leggere il libro gli autori delle relazioni al convegno e io come curatore abbiamo cercato di effettuare una operazione che in qualche modo voleva proprio contestare la tesi discontinuista nella sua versione forte, la tesi della globalizzazione come novità epocale senza precedenti, con argomenti talora molto simili a quelli che qui sono stati ripresi da Michele Nobile. Ma la nuova economia americana e tutta la discussione che ne è seguita nella seconda metà degli anni 90 secondo me hanno spostato il centro del dibattito, sia sul terreno dei fatti, dellevoluzione concreta del capitalismo, sia su quello dei temi più di fondo e di lungo periodo al centro del dibattito.
Faccio solo un esempio, per intenderci: la discussione sulla globalizzazione come è stata impostata in Italia, grosso modo nei primi anni 90, metà degli anni 90, era incentrata su una sequenza che era sostanzialmente questa: globalizzazione postfordismo fine del lavoro. Viceversa, con la discussione sulla nuova economia è diventata sempre più significativa lindagine su un capitalismo che viene talora definito un esempio di economia dellinformazione, talora viene ribattezzato capitalismo cognitivo, un capitalismo dove sempre più rilievo hanno le nuove tecniche di management che si pretendono più umanistiche e amichevoli nei confronti dei lavoratori. Quello che è certo, e che voglio sottolineare, è che di fine del lavoro si parla sempre meno; anzi, allopposto, ormai capita di leggere sempre più spesso dellapprossimarsi di un nuovo pieno impiego, in forme e con implicazioni diverse in paesi diversi che so, gli Stati Uniti o la Francia. [...] continua
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