Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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  “Giano.Pace ambiente problemi globali” n. 50 - aprile 2005

 

EMERGENZA ACQUA

Uno dei nostri editoriali è dedicato a commentare brevemente la fine della seconda guerra mondiale e la Resistenza. Ben poca cosa nella ridda di commemorazioni, di rivelazioni, di stravolgimenti in cui si è riversato il prepotere dell’industria culturale e dei media revisionisti. Ma il capitolo storico del 1945 è tetragono alla falsificazione, e noi ci atteniamo a quanto facemmo nel 1995, dedicando al cinquantenario tre fascicoli (i nn. 19, 20 e 21, con il titolo comune 1945 anno zero) che anticipavano tesi interpretative e repliche polemiche oggi più che mai valide. Le contraddizioni principali di quel 1945 furono non tra la liberazione americana e l’improbabile complesso nazi-comunista di totalitarismi antidemocratici, ma tra le forze della pace tra i popoli e la spinta a rendere la guerra permanente; tra lo spirito della Resistenza e la tendenza già presente alla “guerra fredda”; tra l’esigenza di sovrannazionalità e i bombardamenti atomici; ed anche tra una concezione della lotta di classe come processo di socializzazione della politica e il disporsi dell’Unione Sovietica e dei partiti comunisti ad una ulteriore verticalizzazione statuale dei poteri. A queste idee restiamo legati come a direttrici rigorose di ricerca storica e politica. Il fatto che nel 1945 sia stato aperto il vaso di Pandora dell’energia atomica dà un senso più preciso al secondo editoriale, nel quale Massimo Serafini ribadisce il rifiuto del nucleare di fronte alle crescenti pressioni tese a riaprire il discorso.
Ma il presente n. 50 ha il suo centro nel Dossier Acqua curato da Vittorio Sartogo. Studiosi e promotori di una nuova concezione e pratica sociale della globalità (Giorgio Nebbia, Fabio Marcelli, Federico Valerio, Marina Forti, Michele Paolini, Francesco Martone, oltre allo stesso Sartogo) hanno unito i loro sforzi per fornire un quadro essenziale del problema idrico mondiale e dei suoi vari aspetti economici, giuridici, politici. Al tema è dedicata anche la nostra copertina, che riproduce il rapporto fra terra e acqua, tra la vita sociale e il complesso ancora ignoto delle acque oceaniche così com’era raffigurato nella cultura classica dell’Occidente. Ma l’ispirazione del dossier è saldamente legata all’acqua come problema sociale globale: “Nel 2000 – si legge in un Rapporto dell’Onu sullo sviluppo umano - almeno 1,1 miliardi della popolazione mondiale, circa un quinto, non ha avuto accesso ad acqua sicura. Il doppio delle persone (2,4 miliardi) sono state prive dell’accesso a strutture sanitarie migliorate. L’Asia ospita il 65% della popolazione senza acqua sicura, e l’Africa il 28%. Nell’ambito delle strutture sanitarie l’Asia ospita l’80% della popolazione non servita, e l’Africa il 13%”.
Le consuete rubriche di attualità e analisi dei problemi internazionali e globali e dei loro riflessi nella cultura non sono meno ricche che nei precedenti numeri della rivista. Se vogliamo segnalare al lettore alcune punte di grande interesse indichiamo il contributo di Raniero La Valle sul papato di Giovanni Paolo II, l’intervista di Anna Cotone a Jamal Juma, e l’importante inedito al quale affidiamo il ricordo di Pier Giovanni Donini; mentre l’analisi del Venezuela di Chavez condotta da Raffaele Nocera è una anticipazione del doppio dossier che nei prossimi numeri intendiamo pubblicare sull’America Latina.

 


EDITORIALI    
Luigi Cortesi   1945-2005: sessant’anni dalla guerra e dalla Resistenza
Massimo Serafini   Nucleare? Ancora una volta: “No, grazie!”
 
DOSSIER ACQUA (a cura di Vittorio Sartogo)
Premessa   La crisi idrica globale
Giorgio Nebbia   L'acqua, dalla natura alla merce
Fabio Marcelli   Acqua, sovranità sulle risorse naturali e patrimonio comune dell'umanità
Federico Valerio   Fiumi, laghi e mari: un sistema integrato per lo smaltimento dei rifiuti
Vittorio Sartogo   Mediterraneo. Ecologia dell’acqua, ecologia dei rapporti sociali
Marina Forti   Dighe, “progresso” e violenza sociale
Michele Paolini   Leviatano e Behemot. Nota sui corridoi marittimi e i punti di strozzatura
Francesco Martone   La Banca mondiale, l’Fmi e la privatizzazione dell’acqua
  
QUADRANTE
Raniero La Valle    Sul pensiero e sull’opera di Karol Woityla e sul nuovo papato
Diana Johnstone   Il lato militare della Costituzione europea
Jamal Juma   Palestina: la “terza fase” del Muro israeliano (a cura di Anna Cotone)
Patrizia Zanelli   Riforme in Egitto: la spinta sociale e le distorsioni di Washington
Sheik Hassan Al Zargani   “Resistenza a viso scoperto”. Intervista a cura di “Iraq libero”
ANALISI  
 
Raffaele Nocera   La “rivoluzione bolivariana” in Venezuela
INEDITO    
Pier Giovanni Donini   Cattolicesimo e Islam
NOTE CRITICHE    
Domenico Di Fiore   L’Occidente diviso di Jürgen Habermas
LETTERE A "GIANO    
Andrea Panaccione   A proposito di Ucraina e democrazia, con postilla di Luigi Cortesi
LIBRI      
Recensioni   Le XX siècle des guerres (Mariagrazia Meriggi); O. Bartov, Fronte orientale – H. Mommsen, La soluzione finale (Luigi Cortesi); M. Armiero – S. Barca, Storia dell’ambiente (Silvio Silvestri)
Segnalazioni   a cura di Luigi Cortesi, Rosa Colleoni, Enrico Maria Massucci, Raffaele Nocera, Vincenzo Pugliano, Patrizia Zanelli, Gabriele Garibaldi, Silvio Silvestri
 
English Summaries   
 

Hanno collaborato alla redazione di questo numero:
Giacomo Cortesi, Anna Cotone, Sarah Nicholson, Vincenzo Pugliano, Vittorio Sartogo, Silvio Silvestri


SOMMARI DEL N. 50 DI "GIANO", aprile 2005

EMERGENZA ACQUA

Luigi Cortesi, 1945-2005: sessant’anni dalla guerra e dalla Resistenza
Anche questo sessantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale e della Resistenza non sembra propizio ad analisi e ad acquisizioni critiche nuove. Se anche qualche voce si leva dal campo degli studi e del pensiero critico essa è coperta dal gran berciare mediatico pubblicitario e dalle sempre più oblique mediazioni culturali dei pensatori da terza pagina. Le idee che vengono diffuse al grosso pubblico della guerra e dei suoi contesti, delle forze e degli interessi in campo, delle opposte “ragioni”, degli svolgimenti sperati dalla vittoria e in parte concordati e degli esiti effettivi – sono quanto di più lontano possa immaginarsi dalla realtà storica. Alcune falsificazioni semplici e di facile presa sono alla base della Grande Menzogna, altre fanno sì che l’elaborazione del passato sia soltanto parziale; e tutte insieme portano a rovesciare il senso della nostra storia, in una gigantesca operazione di rimozione e sostituzione che deve radicarsi nella mente dei figli e dei nipoti.
Facciamone una breve e parziale rassegna. Il patto Ribbentropp Molotov è stato la vera origine della guerra, il cui peccato originale è quindi impresso nell’anima dei comunisti; fascismo e comunismo erano infatti, a pari titolo totalitario, nemici della civiltà e dell’Europa; gli Stati Uniti d’America sono corsi per la seconda volta a salvare il vecchio, caro Continente; ed è stato un salvataggio disinteressato, non da un solo nemico, ma dal doppio volto del male; nella sfida tra le forze della morte e dell’abisso è quindi la Democrazia che esce vincitrice e vergine, per proporsi al mondo – già allora – come “fine della storia”; la lotta antifascista e la Resistenza sono infiltrate e sporcate dai “rossi”; i movimenti di liberazione delle colonie o vengono fatti scomparire dal quadro o vengono riconfigurati nel profilo più acconcio alle sorti magnifiche e progressive di un Occidente naturalmente virtuoso. Basta così.
Nessuno (o quasi) ricorda più che le origini e le vicende della seconda guerra maturarono in un processo infausto (quello che viene comparativamente definito come “nuova guerra dei Trent’anni”) nel quale – se i regimi fascisti furono la parte ideologicamente e politicamente promotrice – le Potenze democratiche ebbero responsabilità gravissime; che l’Urss ne veniva di fatto isolata e messa in mortale pericolo; che l’orrore del patto germano sovietico dell’agosto 1939 fu figlio dell’orrore del patto di Monaco del settembre 1938; che gli Stati Uniti intervennero (vennero trascinati) tardivamente in guerra, con la faccia rivolta assai più ai loro interessi imperialistici nel Pacifico che alla civiltà euro-atlantica; che la ferma condotta di guerra della Gran Bretagna fu resa possibile soprattutto dalla resistenza dell’Urss – per i tre anni centrali della guerra sola ad opporsi all’espansione della coalizione nazi fascista, sola a sostenere l’urto e a vincere – fino allo sbarco in Normandia del giugno 1944; che ai 27 milioni di morti militari e civili sovietici del fronte orientale sono impari contrappeso – dispiace usare questo linguaggio – le centinaia di migliaia di caduti delle tre grandi democrazie; che l’Unione Sovietica fu il simbolo altissimo e la “proiezione” d’una causa di liberazione di cui solo le vicende del lungo dopoguerra avrebbero rivelato ai più e sviluppato i dati negativi; che i movimenti di Resistenza furono resi possibili da una base sociale europea che aveva rifiutato e rifiutava la guerra come tale, che insorse non per parteciparvi ma per negarla, e che progettava un ordine sociale profondamente diverso, e anzi contrario al meccanismo che tra Otto e Novecento aveva generato un corso di avvenimenti tanto atroce; e che i movimenti di liberazione in Asia e in Africa sono lì a ricordarci le responsabilità delle democrazia occidentale per la sua simbiosi con l’imperialismo – fatta di genocidi sistematici fisici, ambientali e culturali. Infine, proprio dovremmo tacere dei crimini di guerra occidentali e americani che si riassumono nei terribili bombardamenti “a tappeto” e specialmente nell’introduzione della bomba atomica tra gli agenti politici della storia?
Ci fermiamo al 1945, ma molto ci sarebbe da dire del dopo. E concediamo, ovviamente e ampiamente, ad una visione la più critica dello stalinismo e della sua politica, della sua stessa condotta di guerra, sul piano militare e sul piano civile, delle responsabilità che gli derivarono da una chiusura politica che era preclusione alla conoscenza e all’autoconoscenza. Elementi di barbarie si mescolarono ad elementi di socialismo fino a ridurre l’Unione Sovietica e la sua leadership estranei al complesso di significati del 1917 ed inaccettabili alla civiltà del movimento operaio. Tutti i discorsi vanno fatti, e devono essere aperti. Non esiste una storia “pura”, come scriveva durante la prima guerra mondiale Lenin sulle tracce di Hegel.
È comprensibile che l’establishment del Cremlino abbia rilanciato per il 60° della vittoria simbologie, riti, memorie della guerra; ma è paradossale che gli istituti scientifici russi non abbiano promosso un confronto internazionale tra storici a latere delle celebrazioni formali, e distinto da esse, come momento di riflessione critica. Ma allo stesso modo ci meravigliamo (o forse no) delle disinvolte ellissi di molti storici occidentali, la cui concezione di democrazia ignora, oltre ai motivi di crisi della democrazia stessa, la tendenza della politica globale americana ad asservire la storia ad una propria, e molto chiara, linea di svolgimento.
Ogni sforzo va fatto per difendere l’unità di passato e presente e l’indipendenza della ragione critica. Teniamoci stretti alla prova della ricerca storica; non buttiamo a mare gli spazi di riflessione che sono consegnati nelle nostre biblioteche, ed anzi alimentiamoli di nuovi studi e di nuovi dubbi; non prostituiamo i canoni della conoscenza e le acquisizioni della coscienza al martellamento dei media più forti. Chi conosce il secolo sa che gli abusi pubblici e le forzature della storia hanno sempre preparato nuovi terribili lutti. Lo storico, per la sua responsabilità sociale e comunicativa, non deve più rendersi complice – neppure col silenzio - di quei processi di accecamento collettivo che sono le premesse dell’accettazione di una nuova guerra e che comportano poi risvegli lenti e dolorosi, oppure moti di reazione critica anch’essi capaci di estremismi rischiosi. Non lasciamo la presunzione della verità storica a Bush, e non lasciamo la presunzione della sua difesa a Putin. Mai come in questi decenni post-sovietici, di militarizzazione globale americana, di sostituzione della forza armata ad una egemonia criticamente e razionalmente fondata, di proliferazione delle “armi di distruzione di massa” possiamo tornare a paragonare il compito dell’intellettuale a quello di un sacerdote della ricerca instancabile e incondizionata di vie nuove: il “cacciatore” scettico di Lessing. Attesoché né le vie antiche, né le recenti di Bush e di Putin, dei Blair e della Rice, della nuova “Cina” e della stessa vecchia Europa, del terrorismo statale o privato ci sembra possano preparare al mondo altro che un nuovo mercato della guerra – questa volta veramente totale.

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Massimo Serafini, Nucleare? Ancora una volta: “No, grazie!”
Le lobbies nucleariste hanno ripreso a esercitare una forte pressione sui politici perché venga riveduta la decisione referendaria con cui il popolo italiano nel 1987 rifiutò il nucleare. I motivi che dovrebbero spingere verso una nuova opzione nucleare sono la possibilità di produrre energia elettrica a basso costo e il carattere “ecologico” di tale scelta. In realtà, sottolinea l’a., i costi di costruzione e di manutenzione di un impianto nucleare sono ancora molto elevati e la produzione di elettricità è responsabile solo in piccola parte delle emissioni inquinanti. Inoltre rimangono irrisolti i problemi di sicurezza delle centrali nucleari, così come non si è ancora trovato un sistema di stoccaggio delle scorie radioattive privo di rischi per le future generazioni. Le stesse scorte naturali di uranio sono destinate ad esaurirsi entro breve, lasciando senza soluzione il problema energetico. Infine le politiche di controllo e gestione degli impianti potrebbero avere un impatto molto duro sulla privacy dei cittadini e in generale sulla democrazia del Paese.

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Dossier Acqua
a cura di Vittorio Sartogo

Premessa. La crisi idrica globale (Vittorio Sartogo)

I saggi e gli articoli che compongono il quadrante dedicato all’acqua vengono introdotti da alcune informazioni essenziali del curatore riguardanti: a) schemi illustrativi della dimensione globale e planetaria dell’acqua; b) la frattura che si è determinata tra Nord e Sud del mondo nella sua disponibilità e accesso; c) una piccola scheda bibliografica, intesa ad indicare alcuni dei molteplici aspetti dell’acqua. Le informazioni si desumono da quattro grafici che illustrano rispettivamente la stima delle quantità d’acqua presenti sulla Terra; il ciclo idrico globale, la disponibilità d’acqua dolce; la progressiva vulnerabilità di un continente come l’Africa. Paradigmatico della situazione globale. Vengono citate le condizioni drammatiche di gran parte dell’umanità a sostegno dell’impegno necessario per modificare una situazione insostenibile e tragica. I paesi ricchi, infatti, trasferiscono alle generazioni future e ai paesi più poveri i danni da loro prodotti, i Paesi poveri non hanno questa possibilità.

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Giorgio Nebbia, L'acqua, da natura a merce

Le “ineludibili leggi del moto delle acque” superano i confini politici e amministrativi; l’acqua attraversa cielo, terra e mari, plasmando la geografia di intere aree, trasportando con sé energia e materia, naturale e antropica. Le leggi umane e le attività economiche non tengono conto di queste “complesse reti di rapporti”, producendo disastri sia nella gestione del territorio (alluvioni e frane, prelevamento selvaggio di sabbie e ghiaie ad uso edilizio, ecc.) che nella gestione dell'acqua potabile, affidata alla “corporazione delle aziende acquedottistiche” e ad un irrazionale commercio delle acque in bottiglia, il cui trasporto e la cui produzione hanno un un elevato costo energetico. Occorre sviluppare “conoscenze e culture” relative ai bacini idrografici, al “costo in acqua” di ciò che consumiamo, ai processi di riciclaggio delle acque usate e alla dissalazione dell’acqua di mare per "mettere a punto metodi e tecniche e modelli, raccogliere dati ecologicamente significativi - ecologici, geologici, sui cicli produttivi, sull'economia, eccetera – in modo da identificare quanto avviene in ciascun bacino idrografico e di prevederne le conseguenze".


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Fabio Marcelli, Acqua, sovranità sulle risorse naturali e patrimonio comune dell'umanità

Il problema della produzione e dell'utilizzo di acqua potabile costituisce uno dei maggiori e più preoccupanti in prospettiva. Occorre, soddisfacendo le richieste espresse dai movimenti locali e globali, dar vita a una disciplina giuridica che sappia bloccare lo sfruttamento selvaggio di questa fondamentale risorsa e garantire il diritto al suo consumo.
Da questo punto di vista, le tradizionali categorie concettuali impiegate dal diritto internazionale, quali la sovranità permanente sulle risorse naturali e il patrimonio comune dell'umanità, pur parzialmente contraddittorie fra loro, offrono spunti interessanti di riflessione, in vista dell'elaborazione di nuovi principi e norme giuridiche applicabili, specie se saranno accompagnate dalla necessaria considerazione dei diritti umani fondamentali.


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Federico Valerio, Fiumi, laghi e mari: un sistema integrato per lo smaltimento dei rifiuti


L’autore analizza i rapporti tra l’acqua e i nostri rifiuti, focalizzando l’attenzione sulle acque dolci del pianeta, in particolare quelle raccolte dai laghi che spesso sono utilizzate per dissetare gli abitanti delle grandi città. E tra le tante forme di inquinamento possibili, approfondisce gli effetti dei composti organici persistenti emessi a seguito della “termovalorizzazione” dei rifiuti.
In base ai risultati di queste analisi, la nostra civiltà sarà definita come quella del ferro, del piombo e del cloro, gli elementi che caratterizzano i sedimenti depositati nel corso degli ultimi duecento anni. Con il notevole dettaglio della sostituzione più recente del piombo con platino e palladio. Chi si occupa di chimica ambientale si sta confrontando con queste singolari caratteristiche chimiche dei più recenti sedimenti marini e lacustri che, non a caso, in base alla terminologia anglosassone, sono definiti come lo “scarico del lavandino” (sink) di tutti i fenomeni di dispersione degli inquinanti prodotti dall’attività umana e dei fenomeni erosivi naturali.
L’incenerimento dei rifiuti è possibile che possa essere un’importante causa di contaminazione delle acque per uso potabile provenienti dalle zone industriali. Sicuramente aumenta in modo significativo la deposizione di mercurio nei sedimenti ed è stato dimostrato che oltre il 90% di diossine presenti nell’ acqua si trovano adsorbite alle particelle in sospensione.


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Vittorio Sartogo, Mediterraneo. Ecologia dell’acqua, ecologia dei rapporti sociali

L’acqua non è soltanto un importante fattore di conflitto nel Mediterraneo, ma addirittura è causa di vere e proprie guerre. La lotta per il controllo del mare e delle grandi aste fluviali, non solo è un aspetto cruciale della volontà di dominio, ma segna tutta la storia della regione mediterranea. L’autore richiama gli elementi fisico- ambientali caratteristici del Mediterraneo e le dinamiche delle crescita urbana lungo le sue coste, dell’intensificazione dei traffici marittimi, delle trasformazioni agricole e della grande crescita turistica per indicare l’importanza cruciale del possesso delle fonti e delle vie d’acqua, o almeno dell’accesso ad esse. Il controllo dell’acqua si presenta come un momento decisivo di governo o, meglio, di dominio. Si presenta come lo strumento più importante per lo sviluppo dell’economia di un determinato Paese e di pressione e condizionamento della vita e dell’economia di altri Paesi. L’acqua dovrebbe intendersi, invece, come bene comune. Sia perché è la base della vita, sia perché da essa dipendono persone, comunità, piante, animali indipendentemente dai confini e dalle divisioni che sono nate nel corso del tempo. E su questa base dovrebbero anche pensarsi le grandi costruzioni interstatali come l’Europa. Vi è, quindi, bisogno di ripensare la costruzione europea alla luce della dimensione mediterranea, di una sua componente, decisiva almeno quanto lo è l’area renana. Che questa non sia attualmente la priorità che l’Europa stessa vede, complica ancora di più una situazione da cui si può uscire soltanto ricostruendo un pensiero e un modo di vedere incentrati sull’interdipendenza che lega tutte le popolazioni che si affacciano da tre continenti sul Mediterraneo.

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Marina Forti, Dighe, “progresso” e violenza sociale
Le grandi dighe sono state nel XIX e XX secolo uno dei “miti” del “progresso” capitalistico. In seguito, in declino in Occidente, il “mito” è stato trasferito nei Paesi del Terzo mondo e imposto come soluzione per uscire dal sottosviluppo. In realtà, i costi in termini di impatto ambientale (disboscamento indiscriminato, inondazioni, scomparsa di specie animali e vegetali) e le conseguenze devastanti (impoverimento, distruzione dell’economia di sussistenza tradizionale, spostamenti coatti e inurbamento) per le comunità indigene hanno spinto governi e organismi internazionali a rivedere le loro scelte. Decisiva è stata la resistenza delle popolazioni native, come nel caso della valle di Narmada in India, dove la Banca Mondiale si è vista costretta ad abbandonare il progetto di costruzione di una gigantesca diga. Una vicenda analoga si prospetta in Laos: la Banca Mondiale, guidata ora da Paul Wolfowitz, sostiene il piano di costruzione di un enorme sbarramento lungo il corso del Nam Theun, le cui ripercussioni sull’ambiente e sulle comunità locali saranno distruttive. L’opposizione popolare al progetto Nam Theun 2 rappresenta la lotta di chi paga i costi del “progresso” senza ricavarne alcun beneficio.

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Michele Paolini, Leviatano e Behemot. Nota sui corridoi marittimi e i punti di strozzatura

È difficile controllare ciò che è stato mantenuto nel caos. Il mare, riassunto icasticamente nella figura del mostro Behemot, dispone di un enorme potenziale distruttivo anche perché tempeste, inquinamento, pirateria, terrorismo e catastrofi hanno complici a terra. E la terra è simmetricamente rappresentata dalla figura di Leviatano. Insomma, i potenziali distruttivi di Behemot e Leviatano compongono una micidiale miscela. Un mare senza legge infatti serve ottimamente alla libertà di commercio e alla circolazione del capitale. L’esistenza di Behemot sembra allora nell’interesse di Leviatano. Ma la libertà di commercio e la circolazione del capitale, nella loro anarchia, determinano poi le condizioni – in senso fisico e geopolitico – per la caduta di Leviatano.


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Francesco Martone, La Banca mondiale, l’Fmi e la privatizzazione dell’acqua

In questa analisi del mercato dell’acqua l’autore mette in luce la natura del sostegno economico che le istituzioni finanziarie internazionali, soprattutto di Banca mondiale e Fondo Monetario Internazionale, prestano ai cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Nonostante il comprovato fallimento delle politiche di privatizzazione dell'acqua, gli investimenti della Banca mondiale sono volti quasi interamente alla promozione e alla protezione della privatizzazione del settore idrico, piuttosto che a garantire l’accesso dei poveri a questa risorsa primaria; dal canto suo l’Fmi “impone la scelta della privatizzazione come condizione per l'accesso ai suoi pacchetti di salvataggio finanziario”. Questo approccio, basato sulla presunta “volontà e capacità di pagare” degli utenti, non tiene conto della realtà dei fatti, cioè che le popolazioni povere non possono far altro che soddisfare le loro necessità utilizzando acqua non trattata. Si tratta quindi di una violazione diffusa del diritto umano alla salute con pesanti ripercussioni socio-sanitarie. Aumenti vertiginosi del prezzo dell’acqua, privatizzazioni, rinazionalizzazioni, riprivatizzazioni, grandi dighe sono il grande gioco sulle piccole teste dei poveri. “Le alternative alla privatizzazione esistono, e funzionano – conclude l’autore, […] e attraverso l'acqua si può declinare un nuovo modello di cittadinanza cosmopolita globale”.

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Raniero La Valle, Sul pensiero e sull’opera di Karol Woityla e sul nuovo papato

Nella nostra intervista, Raniero la Valle ripercorre criticamente le linee della politica internazionale del lungo pontificato di Karol Wojtyla attraverso i grandi avvenimenti l’ultimo ventennio del XX secolo: dalla guerra fredda alla caduta del “socialismo reale”, dal conflitto jugoslavo alle ultime operazioni militari occidentali in Iraq. Ne emerge un quadro contraddittorio e articolato caratterizzato inizialmente dalla forte opposizione di Giovanni Paolo II al comunismo e successivamente dal giudizio negativo espresso sul capitalismo contemporaneo. Rilevante fu la responsabilità del Vaticano nello scoppio conflitto balcanico, con il riconoscimento precoce delle cattoliche Slovenia e Crozia in aperto contrasto con la Serbia ortodossa. Infine il dissenso manifestato da Wojtyla sulla guerra in Iraq impedì che il conflitto assumesse i toni di uno scontro tra civiltà. Dunque un giudizio storico complesso sul pontificato di Giovanni Paolo II e un’attesa “prudente” sulle scelte che attuerà Benedetto XVI.
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Diana Johnstone, Il lato militare della Costituzione europea

Scavando il gap tra espressioni di buona volontà e impegni concreti l’autrice fa notare come al primo obiettivo della Costituzione Europea - “l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli” - corrisponda l’impegno di “migliorare progressivamente le capacità militari” degli Stati membri, rispettando “gli obblighi derivanti dal trattato Nord-Atlantico”. In questa Costituzione il disarmo è sempre e solo disarmo di altri paesi; il terrorismo è il nemico in agguato, il jolly che consente interventi diretti o indiretti; le guerre non sono guerre ma “missioni di sicurezza e di difesa comune”; infine non è esplicitata alcuna procedura per una dichiarazione di guerra.
L’autrice conclude affermando che, vista l’assenza di veri dibattiti nel Parlamento europeo e l’impossibilità pratica di emendare questa Costituzione, “la grande differenza con [la Costituzione degli Stati Uniti] è che le politiche sociali retrograde e le politiche aggressive militari non sono iscritte nella Costituzione degli Stati Uniti come invece saranno in quella europea”

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Jamal Juma, Palestina: la “terza fase” del Muro israeliano (a cura di Anna Cotone)

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Patrizia Zanelli, Riforme in Egitto: la spinta sociale e le distorsioni di Washington

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Sheik Hassan Al Zargani, “Resistenza a viso scoperto”. Intervista a cura di “Iraq libero”

Il ministro degli Esteri del movimento di Moqtada Sadr traccia le linee essenziali della politica dell’organizzazione sciita. Il gruppo ha garantito fin dalla caduta del regime di Saddam Hussein, l’assistenza sanitaria, l’approvvigionamento di cibo e carburante, la sicurezza, raccogliendo così un largo consenso popolare. Inoltre, il rifiuto di partecipare al nuovo governo iracheno basato sul principio delle quote confessionali e l’opposizione al terrorismo come strumento indiscriminato di lotta contro l’occupazione ne ha accresciuto la stima anche al di fuori della comunità sciita e ha dato all’azione del movimento Sadr una dimensione nazionale. Il carisma di Sadr e l’attività del suo movimento dunque hanno ricomposto l’unità della comunità sciita, dando una prospettiva nazionale e unitaria alla resistenza.

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Analisi.

Raffaele Nocera, La “rivoluzione bolivariana” in Venezuela

Dal 1999 il Venezuela è governato da Hugo Chávez Frías, la cui “rivoluzione bolivariana” ha determinato lo smantellamento istituzionale del vecchio regime bipartitico e il declino di tutti i poteri forti. Proprio per questo motivo, l’azione di governo del jefe de la revolución è stata sottoposta ad un estenuante e logorante prova di forza. Il vecchio duopolio di governo, il ceto imprenditoriale pubblico e privato, la burocrazia e i sindacati, hanno fatto di tutto per rovesciarlo, dalle manifestazioni di piazza agli scioperi prolungati; un colpo di stato e un referendum revocatorio del mandato presidenziale. Ciò nonostante, Chavez è sempre riuscito a superare gli ostacoli grazie all’appoggio dei settori sociali subalterni e marginali e alla fedeltà di una parte dei vertici militari. Oggi le basi del suo potere sono più solide anche se rimangono tanti dubbi, contraddizioni, ostacoli e, specialmente, l’ostilità della Casa Bianca.


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Inedito.

Pier Giovanni Donini, Cattolicesimo e Islam

A due anni dalla morte di Donini proponiamo questo suo scritto inedito in cui affronta la questione dei rapporti fra Cattolicesimo e Islam in chiave storica. All’apparire dell’islamismo il mondo cristiano replicò con indifferenza e ostilità considerandolo semplicemente come un’eresia. Il cristianesimo si dimostrò incapace di comprenderne la natura: non una semplice “deviazione” ma un “nuovo modello di società”, avanzato culturalmente e scientificamente, in grado di attirare a sé, non solo con la forza, popoli assai diversi. Da questo errore nacque l’atteggiamento polemico e denigratorio che caratterizzò l’ideologia anti-islamica dei secoli successivi, fino alle Crociate. Queste rappresentarono lo scontro fra due concezioni del mondo ormai “istituzionalizzate”. Si aprì così una nuova fase, in cui il confronto fu fra Stati, Imperi con i loro interessi politici, economici e sociali e il Cristianesimo fu uno strumento ideologico al servizio del colonialismo europeo. Con la dichiarazione Balfour, temendo i progetti sionisti in Palestina, la Chiesa cattolica tentò di aprire un dialogo col mondo islamico. Il nuovo pericolo era il comunismo. Fu con la crisi di questo che ripresero vigore le preoccupazioni anti-islamiche, alimentate dall’immigrazione e dalle capacità di proselitismo dell’Islam. Da questi timori scaturiscono sia l’atteggiamento contraddittorio del Cattolicesimo verso l’Islam, sia le pressioni verso lo Stato laico, visto unicamente come il “braccio secolare” contro i nemici della Chiesa.

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Note critiche.

Domenico Di Fiore, L’Occidente diviso di Jürgen Habermas

La ‘guerra per la democrazia’ è parte di un’offensiva, purtroppo non solo ideologica, che gli Stati Uniti di Bush stanno conducendo con intensità sempre maggiore. Tanto da far riflettere anche chi si era illuso su un Ottantanove come prologo di un mondo pacificato e totalmente regolato dal diritto. Tra questi spicca Juergen Habermas che, accantonato nei suoi ultimi scritti il progetto teorico precedentemente perseguito di una comprensione nel diritto di ogni possibile aspetto del reale, torna a confrontarsi con le asperità della storia. L’articolo sulla “Faz” siglato insieme a Derrida all’indomani del 15 febbraio 2003, giorno dell’opposizione mondiale e soprattutto europea alla guerra preventiva di Bush, solleva il problema politico dell’affermazione di quella specifica identità europea che, assorbita la lezione delle due guerre mondiali e rigeneratasi nell’edificazione dello Stato sociale di diritto, può, essa sola, contrapporsi al liberalismo egemonico di Bush e ridare spessore alle istituzioni sovranazionali.




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