Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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  “Giano.Pace ambiente problemi globali” n. 54 - settembre 2006



 

1956, la grande svolta
Una discussione storica

“Giano” ha sempre lavorato su terreni interdisciplinari, in particolare tendendo all’eliminazione degli ostacoli e dei pregiudizi che separano la storiografia come scienza del passato dal presente scorrettamente inteso come mera arte politica. Presentiamo con compiacimento questo fascicolo, che alle consuete analisi di commetto ai fatti più recenti affianca un dossier dedicato ad un anno chiave del ‘900. Nel Quadrante la crisi mediorientale culminata nella guerra dell’estate 2006 è affrontata da due punti di vista. Il quadro geopolitico e le ripercussioni sull’ideologia e sull’esperienza del movimento pacifista. In particolare, come influisce su questo il nuovo dinamismo della politica estera italiana? Su quest’ultimo tema intervengono con diverse tesi D. Di Fiore, M. Nobile e L. Cortesi. Fra gli altri temi trattati la Siria del dopoguerra (L: Trombetta), le crisi del Congo (S. Liberti) e del Messico (R. Nocera). Si segnalano anche i temi nella sezione Osservatorio sono presenti anche problemi. Ancora una volta torniamo sulla guerra in Jugoslavia con un’analisi di T. Lofranco sul ruolo belligero delle “ossessioni identitarie”. Tra le “Note critiche” anche una interessante lettura del libro Hillman sul fascino della guerra (E. M. Massucci).
Ma il focus del fascicolo è costituito dall’ampio dossier 1956, la grande svolta, che viene pubblicato nel cinquantenario della insurrezione ungherese e della sua repressione. Esso si compone di un dibattito tra cinque storici italiani del comunismo (A. Agosti, B. Bongiovanni, L. Cortesi, E. Masi A. Panaccione) e di un’appendice di documenti di quell’anno di fonte sovietica (A. Panaccione) e italiana (A. Hobel). Si segnala in particolare la relazione dell’incontro svoltosi a Parigi tra rappresentanti comunisti italiani e francesi, che non raggiunsero alcun accordo nel giudizio politico sui “fatti d’Ungheria”.
Nel dibattito tra gli storici emergono interpretazioni e accenti diversi, tutti però concordi su due punti: gli avvenimenti del 1956 vanno considerati sì nella loro particolarità, ma anche come momento di “spasmo” d’un lungo processo storico che interessò il socialismo reale; essi segnalarono una frattura sistemica destinata ad aggravarsi in modo irrimediabile. Al fondo dell’analisi una oggettiva distinzione tra un socialismo reale storicamente concluso e il comunismo come complesso di conflitto sociale e di teorie della storia.



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1956, la grande svolta
Una discussione storica

   Premessa redazionale
Dibattito   Aldo Agosti, Bruno Bongiovanni, Luigi Cortesi, Edoarda Masi, Andrea Panaccione
Documenti    Budapest dopo la repressione: tre documenti sovietici del 9 novembre
A cura di Andrea Panaccione
Alexander Höbel   Il Pci, il Pcf e i “fatti d’Ungheria”: una missione ufficiale a Parigi il 15-17 novembre. In appendice la relazione di Velio Spano
   Cronistoria 1953-1956 (Vincenzo Pugliano)
    


Quadrante

Gabriele Garibaldi    La fame e la Bomba: le provocazioni nord-coreane, con un Post-scriptum redazionale
Domenico Di Fiore   Il crocevia libanese, l’Europa, l’Italia
Lorenzo Trombetta   I difficili equilibri e le opzioni possibili di Damasco
Danilo Zolo   Diritto internazionale, Onu e missioni militari
Michele Nobile   La politica estera della sinistra umanitaria e del nonostante
Luigi Cortesi   Il pacifismo antagonista e l’impatto con la politica
Stefano Liberti   Elezioni e crisi in Congo
Raffaele Nocera   Messico, una battuta d’arresto per la sinistra latinoamericana
    
   Osservatorio    Fallimento del Doha Round, fallimento della Wto (Francesco Piccioni) - Beni comuni, una proposta al governo Prodi (Vittorio Sartogo) – Asse Russia-Algeria per il gas (Michele Paolini) – Argentina: puniti i crimini della dittatura militare (Maria Rosaria Santoni)

   
 
Note critiche   Ripensare la Jugoslavia.
Tiziana Lofranco, Le ossessioni identitarie e l’ideologia di guerra
A proposito del discorso di Miloševic del 28 giugno 1989. Una lettera di Andrea Martocchia, con risposta di Domenico Di Fiore

   
   
Enrico Maria Massucci   Lo “stato marziale dell’anima” e il “sentiero parallelo” di Venere
    
LIBRI    Danilo Zolo, La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad (L. Cortesi); Fran Shor, Bush-League Spectacles: Empire, Politics, and Culture in Bushwhacked America (L. Isoldo)
 
 
English Summaries   
 


Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero:
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SOMMARI DEL N. 54 DI "GIANO", settembre 2006

1956, la grande svolta
Una discussione storica

Dossier

1956, la grande svolta. Una discussione storica

Nella premessa redazionale ci si richiama al cinquantenario di quell’anno come all’occasione per una riflessione allargata ad un lungo periodo storico, e ai caratteri del sistema sovietico di impronta staliniana quale si realizzò nel “socialismo reale”. “Giano” ha organizzato un incontro in proposito, che si è svolto a Milano nel giugno 2006 con la partecipazione di cinque studiosi italiani del comunismo: Aldo Agosti, Bruno Bongiovanni, Luigi Cortesi, Edoarda masi, Andrea Panaccione. Essi non hanno una tesi comune precostituita, ma una base minima di giudizio sui “fatti d’Ungheria”, come rivolta popolare che segnalò drammaticamente l’inadeguatezza dei regimi di “socialismo reale” a gestire il rapporto società politica. Il loro omaggio alla memoria di Imre Nagy è indicativo di questa visione generale delle cose. Ma, appunto, il 1956 viene considerato come anno di punta e di svolta in cui si assommano i problemi dell’Unione Sovietica e del suo sistema geopolitico, ma anche le questioni inerenti al modello di gestione sociale che essa impose agli stati europei satelliti. Questa impostazione non può ovviamente valere per la Cina, che dopo la rivoluzione del 1949 seguì ben presto una propria ricerca peculiare destinata a collidere con il modello dell’Urss.
In ogni caso l’esperienza degli anni tra la seconda guerra mondiale e il crollo del 1989-91 ha rappresentato uno dei capitoli fondamentali del ‘900, i cui risultati negativi pesano nelle prospettive globali nel nuovo secolo, specialmente se l’analisi è rivolta all’indietro al tentativo nel tentativo di cogliere le fonti del modello imposto. Al riguardo, tuttavia è opinione prevalente che non si possano caricare sulla rivoluzione del 1917 i risultati di un percorso storico che appare legato a processi successivi di burocratizzazione dispotica e di degenerazione ideale, con l’assunzione definitiva di una natura diversa.
Gli atti dell’incontro sono seguiti a) da una bibliografia di riferimento del dibattito, quasi un elenco degli strumenti utilizzati; b) da un’appendice di documenti del novembre 1956, di patre sovietica e di parte italiana. Questi ultimi si riferiscono ad un incontro tra Pci e Pcf avvenuto a Parigi nel tentativo, fallito, di raggiungere una posizione comune; c) di una cronistoria che parte dalla morte di Stalin e inquadra i fatti successivi in una crisi di transizione del potere sovietico.


Gabriele Garibaldi, La fame e la Bomba: le provocazioni nord-coreane

I test missilistici della Corea del Nord hanno innalzato il livello della tensione e aggravato lo stallo dei negoziati a Sei. Gli Stati Uniti seguono nei confronti di Pyongyang la linea dura dell’isolamento, se questa non soddisferà prima di tutto la richiesta, votata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza Onu, di rinunciare al programma nucleare e missilistico. Sulla stessa linea è il Giappone, legato all’alleato americano da una rinnovata alleanza militare che doterà Tokyo di difese anti-missile made in Usa. Di fronte alla provocazione del “fratello” del Nord, anche la Corea del Sud si sta riavvicinando a Washington, dopo avere preso le parti di Pyongyang difendendo il suo “diritto all’autodifesa”. La Cina resta il principale alleato del regime di Kim Jong-Il e privilegia la ricerca dell’“equilibrio” e il mantenimento dello status quo: quello che vuole evitare è il crollo del regime e disordini alle sue frontiere. Mentre la Corea del Nord rimane vittima del suo stesso gioco di provocazione e auto-isolamento, e gli Usa non sono disposti a concederle alcunché per sbloccare la situazione, la ripresa e l’esito dei negoziati a Sei sono più che mai incerti.


Domenico Di Fiore, Il crocevia libanese, l’Europa, l’Italia

La recente aggressione israeliana del Libano, scattata dopo il sequestro di due soldati di Tzahal da parte di Hezbollah ma pianificata da tempo in sintonia con gli Stati Uniti, è solo l’ultimo atto di una politica nazionalista e colonialista che Israele, in quanto “Stato ebraico”, ha adottato sin dalla sua nascita e che lo vede continuamente in guerra con i suoi vicini arabi. Tale politica si incastra perfettamente nel più generale disegno americano di arrivare ad uno “show down” con gli “Stati canaglia” Iran e Siria per una completa balcanizzazione del Medio Oriente ed un ottimale sfruttamento delle sue risorse.
Con il passare dei giorni senza che Israele riuscisse a piegare la resistenza libenese nonostante l’esponenziale disparità di forze, il basso profilo iniziale delle Nazioni unite e dell’Unione europea è virato, grazie anche all’attivismo della diplomazia italiana, verso l’assunzione di un ruolo meno subalterno nei confronti degli Stati Uniti, partorendo infine la risoluzione 1701, accettata da tutte le parti in causa. Non la panacea, ma comunque un primo potenziale passo verso il ripristino del diritto internazionale e la configurazione di un’Europa particolarmente attenta allo spazio mediterraneo: un’Europa che getta ponti piuttosto che prender parte a pretesi “scontri di civiltà”.


Lorenzo Trombetta, I difficili equilibri di Damasco

La Siria della dinastia degli al-Asad è sopravvissuta anche all’ennesimo conflitto mediorientale, nel doppio aspetto di retrovia di riferimento e di assistenza della resistenza anti-israeliana e di paese desideroso di una distensione rispetto all’aspra crisi recente. Dopo la guerra tra Hizbullah e Israele a Damasco si guarda infatti con favore a un’apertura politica con gli Stati Uniti. senza che ciò significhi una rinuncia alla tradizionale alleanza strategica con Tehran. Al di là delle speculazioni sul presunto sostegno diretto al Partito di Dio, il sistema siriano si mostra comunque come partecipe della ‘Vittoria di Dio’ contro ‘il nemico sionista’ per andare incontro alle richieste di un’opinione pubblica interna e araba sempre più insofferente dei regimi della regione. Dal “paese dei Cedri”, il fronte vicino a Damasco riprende coraggio sperando che la questione Hariri rimanga ai margini dell’agenda internazionale o venga definita al di fuori della campagna antisiriana di cui è stata l’innesco.


Danilo Zolo, Diritto internazionale, Onu e missioni militari

Noto filosofo e storico del diritto internazionale, attivo nelle discussioni politiche dei movimenti alternativi, Zolo risponde ad alcune domande di “Giano” sui problemi suscitati dalla guerra in Libano e dai suoi esiti diplomatici. Egli critica l’intervento tardivo e parziale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la formulazione ambigua della risoluzione 1701, che potenzia l’Unifil secondo una tattica dilatoria voluta dagli Usa.
Quanto all’Onu, Zolo non la ritiene ormai più riformabile in senso democratico. Solo profondi cambiamenti geopolitici, con l’emersione delle grandi Potenze economiche e demografiche del 2000 (Brasile, India, Cina, Russia, Repubblica Sudafricana) potrà mutare un quadro tanto deteriorato. Più in là, la riproposizione d’una Cina imperiale e globale chiuderà l’esperienza storica dell’Onu.
Una premessa della direzione di “Giano” annuncia che la discussione avviata in questo fascicolo (oltre all’intervista di Zolo si vedano gli articoli di Di Fiore, Nobile, Cortesi) resta in ogni caso aperta,


Michele Nobile, La politica estera della sinistra umanitaria e del “nonostante”

L’analisi degli atti recenti della politica estera del governo di Roma, caratterizzato da un’alleanza di centrosinistra, conduce ad un aspra critica delle missioni italiane all’estero: “dall’Iraq alla Somalia, dai Balcani all’Afghanistan, con governi di ogni sfumatura in materia di ‘pacificazione’ lo Stato italiano ha ormai accumulato un’ampia esperienza. L’imperialismo italiano sembra quasi voler compensare con il protagonismo politico le sue debolezze economiche. Ma si sa, se la pace avana all’ombra del tricolore, essa si consolida nel prosperare degli affari”. Mentre alla sinistra moderata l’a. riconosce coerenza, egli giudica duramente l’atteggiamento della sinistra radicale, che hanno approvato la missione in Libano “nonostante tutto”. In primo luogo nonostante la visibile continuità rispetto al precedente governo della destra; ma soprattutto rispetto all’aggressione ai resti della Jugoslavia nel 1999, che fu perpetrata dal un governo presieduto da Massimo D’Alema. Lo stesso che ora come ministro degli Esteri vorrebbe rappresentare una posizione nuova contraria all’unilateralismo Usa e favorevole ad un rilancio dell’Onu e dell’Unione europea.


Luigi Cortesi, Il pacifismo antagonista e l’impatto con la politica

L’a. riassume le ragioni di fondo di “Giano” difendendo come giusto e doveroso il giudizio pessimistico sulla “crisi di civiltà” in corso. A suo parere le posizioni e le iniziative del pacifismo devono essere corrispondenti all’entità della posta in gioco – cioè le sorti del genere umano. A ciò occorre una politica qualitativamente contrapposta alla politica di competizione e di guerra che domina il campo internazionale.
Egli lamenta quindi che il movimento non abbia un proprio realismo analitico e una propria strategia, e che si divida regolarmente su ogni evento della politica estera e internazionale. Quanto alla recente guerra israeliana contro il Libano e alle relative discussioni egli invita a considerare gli elementi di novità della condotta del governo italiano, che ha criticato l’unilateralismo Usa e ha valorizzato l’Onu e l’Unione europea. Ovviamente, non possono esserci garanzie di ulteriore sviluppo di una tale posizione, e di una sua accettazione da parte di Washington. Tuttavia, nella vigilanza su ogni piega della politica internazionale e nella lotta contro un eventuale ritorno a iniziative di guerra, il pacifismo troverà gli strumenti e le ragioni per una politica propria.


Stefano Liberti, Lo spirito di Lumunba sulle elezioni congolesi

Dopo i 32 anni della dittatura di Mobuto e le sanguinose guerre che lo hanno sconvolto tra 1996 e il 2003, il Congo ha iniziato un delicato processo elettorale, fortemente voluto dalla comunità internazionale, con il preciso obiettivo di superare le devastanti divisioni interne e recuperare un peso nella politica continentale. L’a. descrive la situazione dopo le elezioni presidenziali del 30 luglio scorso, nelle quali nessuno dei candidati ha raggiunto la maggioranza assoluta. Ad affrontarsi nel ballottaggio del 29 ottobre saranno Joseph Kabila, rappresentato quasi essenzialmente nell’Est del Paese, con il 44% dei voti, e Jean-Pierre Bemba, forte nella capitale e nell’Ovest, con il 20%. Entrambi legati agli interessi delle multinazionali straniere e responsabili della spoliazione delle immense ricchezze del Paese, dovranno cercare un accordo con l’ex braccio destro di Patrice Lumumba, Antoine Gizenga, il quale con il suo 12% sarà l’ago della bilancia nel confronto elettorale.


Raffaele Nocera, Messico, una battuta d’arresto per la sinistra latinoamericana

I risultati delle elezioni presidenziali messicane del 2 luglio, sono stati lungamente contestati e ufficializzati solo il 5 settembre, quando il Tribunal Electoral del Poder Judicial de la Federación (Tepjf) ha assegnato definitivamente la vittoria al candidato della destra Felipe Calderón Hinojosa con il 35,89% delle preferenze, lo 0,58% (precisamente 243.934 voti su un totale di quasi 42 milioni di votanti) in più di López Obrador, candidato della coalizione di centrosinistra, fermatosi al 35,31%. Questi risultati segnano una battuta d’arresto del graduale spostamento a sinistra del subcontinente. Ma secondo l’a. al di là della gigantesca campagna diffamatoria montata contro Obrador, dello spettro dell’ascesa al potere di un radicalismo messicano agitato dal blocco conservatore (minaccia che, amplificata dai media, ha conseguito il risultato di spaventare settori consistenti dei ceti medi), e, a quanto pare, della frode orchestrata il giorno dell’elezione, rimane la constatazione degli errori, delle divisioni e dei limiti della sinistra messicana.






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