Rivista quadrimestrale interdisciplinare
fondata nel 1989
GIANO. PACE AMBIENTE PROBLEMI GLOBALI
 
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"GIANO", n. 43 (gennaio – aprile 2003, anno XV)
 
ROGUE  STATES

Preparato durante la crisi e al guerra contro l’Iraq, il fascicolo va considerato nel quadro più ampio della “guerra infinita”: momento di analisi con passaggio storico complesso, dominato dall’esplicita minaccia di altre crisi e di altre guerre, i cui criminali organizzatori già indicano nella Siria la prossima vittima. E quindi la guerra, scriviamo nel nostro Editoriale non è finita né in Iraq- dove la brutalità della conquista lascerà strascichi duraturi - né nella regione mediorientale né nel mondo, là dove la strategia americana individua propri “interessi nazionali” e aree di dominazione e saccheggio. Le ripercussione del sisma sono enormi, come chiariscono i nostri articoli sul sistema delle basi militari lungo la costa del Pacifico dalla Corea alle Filippine. È prevedibile che la lunga guerra dell’imperialismo globale susciterà (come è già avvenuto in tutti i Paesi e in tutte le aree cultuali e religiose del mondo) un’opposizione popolare sempre più massiccia e risoluta. A questo scopo c’è bisogno di nuova elaborazione, di discussione, di confronto. Un nuovo “pacifismo della resistenza”, o “dal basso”, come lo definisce Enzo Santarelli è necessario e deve mirare non solo alla più ferma negazione della guerra, ma alla costruzione di una scienza e cultura della politica, che porti il mondo al di fuori del rischio di nuove catastrofi e di una possibile Apocalisse finale.

Mentre il presente fascicolo 43 sulla guerra irachena - nelle sue tre sezioni di quadrante, analisi, elementi del contesto geopoltico - è ancora dedicato alla guerra irachena, i prossimi affronteranno anche i problemi del nuovo pacifismo impostando un dibattito sui movimenti, sui loro temi di lotta, sulla loro portata sociale e politica.
La Redazione di “Giano” è infine lieta di presentare il supplemento L’Islam dopo l’11 settembre. Le opinioni e le informazioni, a cura dell’arabista Francesca Corrao, che raccoglie i contributi presentati ad un convegno tenutosi a Mains, nel quale la rigorosa specializzazione si è aperta sui problemi più attuali.


Editoriale. Luigi Cortesi   Una guerra inutile e criminale, una lezione per il pacifismo

QUADRANTE   

 
Enzo Santarelli   Imperialismo globale e resistenza dei popoli
Intervista a cura di Ivan Di Cerbo
Vincenzo Strika   Gli Usa verso lo scontro di civiltà? Riflessioni sul mondo islamico
Giulio Girardi   Rifiuto della guerra, rifiuto della menzogna
Angelo Baracca   Prime considerazioni sulla guerra e le sue armi
   Cronologia della crisi a cura di Vincenzo Pugliano
ANALISI   
 
Domenico Di Fiore   “Valori americani”
Angelo M. Imbriani   L’unilateralismo, i suoi falsi critici, le ragioni profonde
Achille Lodovisi   Modelli e scenari della “guerra asimmetrica”
Giuseppe Bronzini   Disobbedienza alla guerra e democrazia: restaurazione, o anticipazione di una nuova legalità?
    
ELEMENTI DEL CONTESTO   GEOPOLITICO    
Orsola Casagrande   Si rivela a cose fatte il disastro politico di Blair
Andrea Panaccione   Russia: le disillusioni di un’identità sempre incertai
Tommaso Giovacchini   Il “secondo fronte” e il sistema delle basi nel Sud-est asiatico
Pio d’Emilia   Il “Risiko” coreano, tra attacco preventivo e “diplomazia coercitiva”
   
Ricordo di Enrica Pischel    

LIBRI    
   
Recensioni   A. Panaccione (Meriggi)
   F. Gentile (Labanca)

SUPPLEMENTO ALLEGATO

L’ISLAM DOPO L’11 SETTEMBRE. LE OPINIONI E L'INFORMAZIONE
A cura di Francesca Maria Corrao
Francesca M. Corrao    Preludio di una guerra infinita
Marta Cariello    Edward W. Said e il dibattito arabo americano
Danila Genovese    “Dialogo fra culture”. Il punto di vista della Lega Araba
Aldo Nicosia    Islam e Occidente: voci ufficiali e voci dell’opposizione in Tunisia
Gennaro Gervasio    Censura e consenso nella stampa egiziana
Lorenzo Trombetta    Il caso di “al-Raya” nel Qatar
Luca Anceschi    I media uzbechi e kyrgyzi
Michelangelo Guida    Le reazioni in Turchia
Silvia Rossi    La strategia Usa e le sue implicazioni per la Siria
 
English Summaries   
 

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero:
Giacomo Cortesi, Claudio Del Bello, Sergio Licuti, Sarah Nicholson, Vincenzo Pugliano, Silvio Silvestri, Ireneo Vladimiri.




SOMMARI DEL N. 43 DI "GIANO", gennaio-aprile 2003, anno XV

rogue states



Luigi Cortesi, Una guerra infame e criminale, una lezione per il pacifismo
Il severo giudizio generale sulla guerra riguarda specialmente la condizione fisica del globo e la condizione umana dei viventi. E' un crimine incommensutabile rasentare le soglie di sopravvivenza per seguire una politica di potenza o una illusoria sicurezza sul piano della disponibilità di energia per un solo, o per pochi popoli. La politica di primato attuata dai paesi più forti porta infatti "al rischio della fine nucleare e alla perdita del mondo per l'adulterazione e la reversione dell'ambiente biotico": e quindi "nel giudicare di una guerra del nostro tempo è in primo luogo ineludibile lo scenario della fine totale, lo scenario della post-storia". Proprio questo è il vero realismo che i pacifisti oppongono al falso realismo e alle autentiche distopie dei politici e dei politologi del "pensiero unico" capitalistico.
La prospettiva del non essere più del mondo può tuttavia essere rovesciata. Nella recente e ancora minacciosa congiuntura bellica, per la prima volta nella storia, "ampie maggioranze di pressochè tutti i popoli del mondo, e perfino una larga fascia dei popoli dei Paesi aggressori o fiancheggiatori, si sono rivoltate contro una guerra e contro la guerra". E lo sviluppo della sensibilità e dell'attivismo pacifisti soi sono saldati e sempre più strettamente si salderanno con la resistenza dei popoli del "Terzo Mondo" all'enorme ingiustizia sociale che si Ë stabilita a loro danno. La convergenza di elaborazione e di intervento che puÚ stabilirsi tra le forze della resistenza e della ribellione può costituire una "unità dal basso" in grado di "paralizzare i governi, dichiarare la crisi della loro politica, apportare cambiamenti qualitativi al modo di produzione e preparare la strada a soluzioni socializzatrici e pianificatrici che rilancino l'alternativa al sistema economico-sociale".



Enzo Santarelli, Imperialismo globale e resistenza dei popoli
La Redazione di “Giano” ha posto delle domande sulla presente situazione globale ad uno del maggiori storici italiani della contemporaneità, Enzo Santarelli. In occasione della prima guerra del Golfo il suo contributo alla ricostruzione dei fatti e delle responsabilità era stato prezioso, ora le sue riflessioni riguardano principalmente tre punti.
Il primo è una riconferma del giudizio del ‘91 sul “delinearsi della figura relativamente nuova di un imperialismo globale in una fase di svolta tra un’epoca e un’altra”. L’a. precisa quel giudizio, con particolare riguardo alla “rivoluzione in senso fondamentalista di larghi strati della classe agiata e della stessa intellettualità statunitense”.
Il secondo punto riguarda la crisi dell’Onu e dell’Unione Europea, che sono “rimaste tramortite” - la prima per “la pugnalata alle spalle infertale dagli Usa nel tentativo (fallito) di avere un avallo nell’aggressione dell’Iraq, la seconda per la divisione provocata al suo interno dai governi filo-americani.
Il terzo punto colpisce l’ambiguità della posizione del Governo italiano il cui appoggio agli Usa è stato mascherato con la dichiarazione di “non belligeranza”, contraria alle esigenze politiche e sociali espresse dal Paese. Valutazioni rilevanti Santarelli riserva al movimento pacifista che rinasce “dal basso” con una partecipazione di massa, laica e cattolica che lascia sperare in un isolamento delle forze di guerra.



Vincenzo Strika, Gli Usa verso lo scontro di civiltà? Riflessi sul mondo islamico
Un’ancora incerta ricerca di unità nel mondo arabo si era messa in moto negli anni ‘90 con il delinearsi del fallimento del processo di pace in Palestina. Per quanto riguarda l’area irachena, le misure di embargo furono via via aggirate, e l’interscambio Iraq-Paesi arabi raggiunse alti livelli con gli accordi di Baghdad il giugno 2001. L’inizio della seconda Intifada e le azioni dell’11 settembre sono stati usati dagli americani per proclamare una “guerra contro il terrorismo” che ha assunto la veste, nella teoria strategica e nella pratica militare, di una guerra preventiva senza limiti di spazio e di tempo: una guerra “infinita”. Essa ha colpito e devastato prima l’Afghanistan e poi, senza un nesso visibile comprovato, l’Iraq.
Ma - nota Strika - “anziché spegnere il terrorismo, la crisi e la guerra in Iraq hanno avuto l’effetto contrario” suscitando una profonda protesta popolare in tutta la vastità del mondo arabo-islamico.
Questo mondo è in grande fermento, e ben pochi Paesi accetteranno un “ordine americano” peggiore di quello succeduto alla guerra del Golfo. Gli Usa intanto prendono di mira la Siria, e tendono ad includere nell’“asse del male” anche l’Arabia Saudita e l’Egitto. “E’ verosimile - conclude l’a.- che di fronte a questa prospettiva nascerà un nuovo ordine arabo e forse musulmano che tenterà di arrivare all’unità almeno economica. Così almeno vuole la storia.”



Giulio Girardi, Rifiuto della guerra, rifiuto della menzogna
L'opposizione popolare alla guerra, e in particolare al bellicismo Usa, fino alla dimensione di una "superpotenza della pace", è anche relativa alla presa di coscienza della menzogna come parte costitutiva della guerra stessa. L'intento dell'autore di questa riflessione, frutto d'una intensa militanza per la pace, è di "dare un contributo alla crescita di questa coscienza e al ripudio popolare della guerra, associando il ripudio della guerra al ripudio della menzogna; associando nello stesso tempo il consenso alla pace e la scoperta della verità sulla guerra". A tale scopo, Girardi elenca le più grandi menzogne della guerra scatenata contro l'Iraq, segnalando la "dipendenza intellettuale e morale di molti" da quello che definisce il sistema della "moderna schiavitù".



Angelo Baracca, Prime considerazioni sulla guerra e le sue armi
L'attacco all'Iraq è una guerra per il petrolio e per il predominio mondiale, imposta preventivamente con la forza militare, secondo gli interessi del complesso militare-industriale. Esso persegue anche l' indebolimento dell'Europa. Si è creata una contrapposizione tra un asse Washington-Londra, ed un asse Parigi-Bonn, con una competizione anche tra il Dollaro e l'Euro, e tra l'industria militare delle due parti. Gli sviluppi sono quanto mai inquietanti ed assolutamente imprevedibili. È possibile che riprenda la collaborazione nucleare tra la Francia e la Germania, le quali allacciano rapporti con Russia, Cina, India. Ma intanto appare più che plausibile che gli Stati Uniti possiedano nuove testate nucleari di bassissima potenza di "Quarta Generazione" e che addirittura le abbiano già sperimentate o utilizzate, cancellando la distinzione tra guerra convenzionale e nucleare. Washington è decisa a violare, o ha già abbondantemente violato, qualsiasi norma o trattato internazionale: non solo la Carta dell'Onu, ma l'Npt, il Ctbt, l'Abm, le Convenzioni per il bando delle armi chimiche e batteriologiche.



Domenico Di Fiore, “Valori americani”
Dopo l’11 settembre sessanta prestigiosi intellettuali statunitensi hanno sottoscritto una Lettera dall’America cui affidare le loro più radicate convinzioni su Dio, sui valori, sulla guerra. Perché – essi si chiedono – i terroristi hanno colpito proprio noi? E’ evidente: perché noi, il nostro popolo, la nostra democrazia liberale, incarniamo un ideale di giustizia e di concordia fra gli uomini, tutti gli uomini, che le forze del Male non possono tollerare. Colpendo le Twin Towers esse hanno inteso colpire i fondamenti della nostra convivenza civile, ovvero quei valori cui tutta l’umanità aspira. Perciò combattere il terrorismo significa combattere a favore dell’umanità intera per il trionfo della pace, della giustizia e della democrazia. Questo modo di argomentare per sillogismi non è peregrino nella storia culturale e politica degli Stati Uniti, è anzi specifico di quella tradizione liberal che, nel secondo dopoguerra, si è stabilizzata come unica possibile “teoria del buon governo”, all’occorrenza spendibile anche come dottrina della “guerra giusta”. E mai guerre furono più giuste, secondo i nostri eminenti studiosi, di quelle combattute nell’ultima dozzina d’anni: quale per la difesa dei diritti umani, quale per la punizione di un reprobo, quale per esportare la democrazia liberale, cioè quel ‘buon governo’ che, soi disant, della guerra è la negazione.




Angelo Michele Imbriani, L’“unilateralismo” dell’impero americano, i suoi falsi critici, le ragioni profonde
Non esiste oggi negli USA una vera contrapposizione tra “unilateralisti” e “multilateralisti”. All’ unilateralismo dominante (ma il termine giusto sarebbe: imperialismo) fa riscontro, in gran parte del mondo politico e intellettuale democratico e liberal, soltanto uno pseudo-multilateralismo del tutto strumentale e utilitaristico. Gli uni e gli altri negano, quindi, all’ONU e alle altre istituzioni internazionali una sfera autonoma di sovranità e con questo la possibilità di condizionare le scelte politiche degli USA. I più autorevoli analisti americani hanno rilevato la distanza che su questo punto divide gli USA dall’Europa. Le loro interpretazioni, però, eludono le reali e profonde ragioni dell’unilateralismo/imperialismo statunitense, che risiedono nella drammatica crisi di egemonia della superpotenza americana e nella sua esigenza vitale di mantenere il controllo su risorse sempre più scarse, in un’epoca che ha visto crollare il mito fordista di uno sviluppo senza limiti.



Achille Lodovisi, Modelli e scenari della "guerra asimmetrica"
Citando Chalmers Johnson, l'a. descrive gli Usa come un Paese "vittima delle proprie contraddizioni economiche", in cui "le forze armate tendono fatalmente a sostituirsi ad altri strumenti di politica estera", e il militarismo crea alla sua volta un indotto di interessi, mentalità e cultura inclini alla guerra. Nell'aggressione all'Iraq Lodovisi vede lo sbocco di una poltica militare (e di una militarizzazione della politica), "messa a punto da Cheney e Powell tra il 1989 e il 1993", "sostanzialmente confermata dall'amministrazione Clinton" e tradotta in pratica con la guerra contro la Jugoslavia". Il "Kosovo Model" è stato poi assorbito in una strategia generale alla quale è legato il nome di D. Rumsfeld. Uno dei punti-chiave di tale strategia è il concetto di "guerra asimmetrica",, che designa lo scarto tra "forze dissimili", in ultima analisi gli Usa e una Potenza minore, oppur e un movimento o una forza privi di Stato.
Al chiarimento di questo concetto, della relativa strategia e delle possibili conseguenze, è dedicata la parte centrale e più analitica del saggio. In conclusione, secondo l'a., la "filosofia del conflitto" e la "varietà dei metodi operativi" della forza militare degli Usa possono condurre il mondo a "un vero e proprio delirio bellico olistico dominato dalla 'legge della giungla', dai costi umani ed economici inimmaginabili".



Giuseppe Bronzini, Disobbedienza alla guerra e democrazia: restaurazione, o anticipazione di una nuova “legalità”?
Esistono, scrive l’a., due interpretazioni teoriche della disobbedienza; la prima è “liberal” e democratico-formale, la seconda prefigura una nuova e più autentica legalità democratica. Nello scenario attuale della crisi del diritto internazionale ed in particolare della paralisi dell’Onu di fronte ai problemi di governance delle dinamiche storiche globali, militari e non, le due linee non entrano in contraddizione tra loro ma possono incontrarsi ed integrarsi. Entrambe si trovano infatti sul medesimo fronte di resistenza all’instaurazione di un sistema internazionale incentrato sull’unilateralismo Usa, e agli ingenti danni che la strategia di Washinghton sta infliggendo alla convivenza tra aree geopolitiche, culture, religioni e identità storicamente diverse, eppure costrette a dirimere pacificamente le proprie controversie.



Orsola Casagrande, Si rivela a cose fatte il disastro politico di Blair
Viene preso in esame l’andamento dell’incontro del 7 - 8 aprile a Hillsborough tra Bush e Blair, incontro che “si è trasformato in un boomerang” per il premier britannico. E’ infatti chiaramente risultato il diniego degli Usa alle richieste di Blair a proposito del “ruolo centrale” dell’Onu in Iraq dopo la vittoria della coalizione anglo-americana, della ripresa di un processo di pace tra Israele e Palestina e della ricucitura dello “strappo” con i grandi Paesi dell’Europa e con l’idea stessa di Europa. Su tutti questi punti la sconfitta di Londra è stata netta.
Ma a parlare di totale fallimento della politica britannica l’a. giunge analizzando i risvolti interni: il relativo isolamento del new labur, lo spostamento a sinistra dei sindacati, il graduale rafforzarsi di una opinione pubblica contraria alla guerra, l’emergere di un pacifismo attivo, le cui proporzioni sono senza paragone nella storia nazionale. La politica e la società della Gran Bretagna appaiono ora attraversate da profonde fratture. A sanarle non basteranno una ingloriosa vittoria e i discutibili vantaggi sul fronte del petrolio e della “ricostruzione” dell’Iraq.



Andrea Panaccione, Le disillusioni di un'identità sempre incerta
La guerra americana all'Iraq ha dato un duro colpo non solo alla strana alleanza Usa-Russia contro il terrorismo, ma alle prospettive di una partecipazione di primo piano di Mosca alle grandi decisioni sul futuro mondiale. Questo peggioramento dei rapporti, a danno dei propositi russi di ritorno allo status di grande di Potenza, era ampiamemnte prevedibile. In particolare, il documento The National Security Strategy del settembre 2002 oltre ad affermare la volontà di dominiuo globale degli Usa, conteneva "giudizi sulla Russia attuale pieni di supponenza e anche di disprezzo".
La posizione di Mosca sulla guerra ha poi oscillato tra l'aperto dissenso, dovuto alll'antiamericanismo popolare e ai sicuri danni che essa apporterà alla Russia, e una politica di accettazione dei fatti compiuti o in via di compimento, dettata dalla speranza di concessioni e risarcimenti. Al di là di tali ondeggiamenti, trapelano e si acutizzano i problemi relativi all' identità del Paese, tipici della sua cultura e mentalità.



Tommaso Giovacchini, Il “secondo fronte” e il sistema delle basi
Il sistema mondiale americano delle basi americane, scrive l’a., “non è più ritenuto obsoleto, ma è invece tornato centrale nel modello imperialista proposto dal Dipartimento della Difesa di Washinghton” e in particolare dei tecnici definiti in gergo giornalistico i cicken okawks. Il settore qui preso in esame è quello del “secondo fronte” dell‘Estremo Oriente e del Sud-est asiatico, alle frontiere dell’Oceano Pacifico. In particolare Giovacchini descrive i casi della Corea e delle Filippine. Nel primo caso la presenza militare permette agli Usa di graduare a proprio piacimento la pressione nei confronti della Corea del Nord sottraendosi sia alle pendenze distensive di Seoul sia alla richieste di Pyongyang di intavolare trattative dirette. Nell’arcipelago meridionale il sistema delle basi è stato nuovamente introdotto con particolare brutalità per vari motivi: l’importanza delle Filippine nel quadro geopolitico mondiale del petrolio e dell’ossessiva percezione del “pericolo musulmano”, e l’opportunità di condizionare i conflitti politici interni dei Paesi dell’area. La funzione delle basi non è solo strettamente militare. Con un’immagine evocata dall’Impero Romano le basi sono come “le guarnigioni della legione nella barbarie del mondo”.


Pio d'Emilia, Il “Risiko” coreano, tra attacco preventivo e “diplomazia coercitiva”
The global empire emerges. The neo-Feudalism envisaged by the Bush administration is frantically pursuing new “mergers&acquisitions” policies as if in an all-out spectacular Risiko game.
Still, despite the deliberate irresponsibility of Japan and her persistently sycophantic role as a US garrison, and the “big thinking” of Superpower, China, the Korean peninsular constitutes an uncertain, indecipherable frontier. Embattled in the self-imposed dichotomy between “Good and Evil”, the US administration seems unable to tackle the new “nuclear deterrent” strategy implemented by the Pyong Yang regime after the collapse of the 1994 Framework Agreement.
While Japan complacently persists in her historical amnesia, Korea is awakening. Recent surveys indicate that the people in the south are no longer obsessed with the “Communist threat”, profess dislike for the US and favour normalization rather than containment. Unfortunatels?y, while endogenous Korean forces - both in the north and in the south - are seeking long awaited reconciliation and reunification through engagement and the “sunshine” policy, a Korea centered solution seems to represent a major threat to the big players. Yet the time is ripe, and a peaceful reunification may be around the corner. Unless, of course, Nuclear Armageddon takes over, sparked off by arrogant stupidity or quite simply by mistake.


SOMMARI DEL SUPPLEMENTO ALLEGATO al N.43 DI "GIANO", gennaio-aprile 2003

L’ISLAM DOPO L’11 SETTEMBRE. LE OPINIONI E L'INFORMAZIONE
A cura di Francesca Maria Corrao

 



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